SOMMARIO: 1. Premessa, principi e categorie – 2. Apparenza pura (o codificata) – 3. Brevi cenni sull’estendibilità analogica.
1. Premessa, principi e categorie
L’acquisto a non domino designa una fattispecie complessa, connotata dall’effetto di attribuzione del diritto al terzo, nonostante il difetto di legittimazione dell’alienante, in cui l’elemento peculiare è il titolo formato dal non dominus.
L’espressione non designa una categoria giuridica unitaria, ma soltanto il dato comune di una pletora di fattispecie disparate, ognuna assoggettata a una propria disciplina giuridica, ma tutte accomunate dallo stesso profilo di concreta criticità: l’effettiva tutela dell’affidamento del terzo, ossia del più ampio interesse collettivo alla sicurezza nella circolazione giuridica dei beni.
L’accorpamento del diritto privato, compiuto nella codificazione del 1942, che ha abolito la netta separazione tra rapporti civili e rapporti commerciali, ha dato preponderanza all’esigenza della sicurezza dei traffici rispetto al passato, accentuando la rilevanza del favor dei terzi acquirenti.1
Il quesito sistematico preliminare da porsi è dunque: in quale senso la tematica della circolazione traslativa del possesso si intreccia con il principio dell’apparenza giuridica?
È essenziale, in primo luogo, illustrare, seppur per cenni, il contenuto e la portata di tale principio.
Il principio dell’apparenza giuridica rinviene un campo di applicazione privilegiato nel possesso.
Nel nostro ordinamento si intercettano una serie di situazioni rilevanti sul punto (ossia costituenti singole fattispecie di “apparenza”), costituenti delle vere e proprie situazioni di fatto giustificate, dal punto di vista della tutela apprestata dal diritto ai terzi, in modo differente, come accade nello specifico caso della situazione possessoria.
In particolare, si tratta di situazioni fattuali che mostrano come reale e credibile una situazione giuridica (apparentia iuris) niente affatto reale: tali fattispecie si contraddistinguono per la carenza di un documento ovvero di un titolo formale, per cui la tutela deve necessariamente fondarsi sulla buona fede.
Invero è logico e giuridico che non si può alienare ciò che non si ha (nemo plus iuris potest in alium transferre quam ipse habet)2, tuttavia esistono eccezioni a tale principio. In altri termini, va riconosciuto che chi trasferisce, pur non essendo proprietario, finisce per trasferire pur sempre un “diritto”, atteso che solo un diritto può essere oggetto di trasferimento: ossia, chi cede mediante una situazione di apparenza, non essendone titolare, cede pur sempre il diritto di proprietà che si costituisce laddove chiaramente ricorrano i presupposti che l’ordinamento riconosce.
Ecco individuata la ratio della categoria degli acquisti a non domino, il cui “elemento comune è costituito da un atto di disposizione avente per oggetto un diritto spettante ad un soggetto diverso dall’alienante oppure un diritto che in realtà non esiste”.3
Posto tale principio, va precisato che esso, come ogni regola di natura generale, può imbattersi in alcune deroghe.
Senza dubbio non è applicabile, in re ipsa, nel caso di acquisto a titolo originario, mancando la trasmissione del diritto da un soggetto all’altro.
Inoltre, anche nelle vicende di acquisto a titolo derivativo sono possibili delle eccezioni, ove necessarie al fine di tutelare e proteggere altre esigenze, altrettanto meritevoli, conferendo preferenza ad ulteriori principi che, nel bilanciamento con quello in esame, devono essere favoriti, come avviene per il legittimo affidamento dell’acquirente in buona fede anche se il tradens non è l’effettivo proprietario del bene trasferito.
Già, in origine, nel diritto romano, all’acquisto a non domino si applicava un regime analogo all’actio publiciana, prevista a tutela dell’accipiens che aveva perso il possesso della cosa ricevuta: la formula prevedeva l’invito al giudice di fingere che il consegnatario della res avesse già maturato a proprio favore il termine per l’usucapione (fictio juris).
Nell’odierno, la locuzione acquisto a non domino indica appunto le vicende di conseguimento della proprietà da un dante causa non titolare del diritto, e nel concreto si estrinseca in molteplici modalità.
Posta la definizione generale del principio di apparenza del diritto e individuatane la ratio, occorre infatti subito aggiungere che all’interno di tale ampia e generica classe di fattispecie, si tende a identificare due macro aree di apparenza giuridica, distinguendo l’apparenza cosiddetta “pura” o, altrimenti definita, oggettiva, dall’apparenza “colposa”.
La prima ipotesi fenomenologica si verifica nei casi, espressamente previsti e disciplinati dalla legge, in cui la situazione apparente risulta da circostanze oggettive, univoche e in ogni caso non imputabili alla condotta di alcun soggetto.
Senza dubbio, rientrano nell’alveo di questa prima categoria di apparenza, gli istituti codificati dell’erede apparente (rectius, le convenzioni a titolo oneroso stipulate in buona fede, con costui, ex art. 534 c.c.) e del pagamento al creditore apparente, previsto e disciplinato all’articolo 1189 c.c.
La seconda tipologia di apparentia iuris, per contro, non prevista espressamente dal codice ma di elaborazione giurisprudenziale, origina da un comportamento di natura “colposa” di un soggetto che, mediante il proprio agire, ha determinato lo stato di apparenza, ingenerando confusione, fraintendimento ed errore nel terzo incolpevole.
Per la sussistenza di un’apparenza colposa, è dunque richiesta non solo l’oggettiva apparenza della situazione giuridica e l’errore scusabile del terzo (che abbia ragionevolmente posto affidamento nella veridicità di quanto apparso ai suoi occhi), ma anche un comportamento doloso o quantomeno colposo da parte di colui – il più delle volte, l’effettivo titolare del diritto – che abbia determinato o contribuito a determinare l’errore del terzo incolpevole.
Tutto ciò con l’effetto addizionale che chi abbia cagionato l’errore scusabile sarà tenuto, in diversa maniera, a rispondere nei confronti del terzo caduto in errore a causa dello stato di apparenza così determinato.
L’autore dell’apparenza sarà infatti responsabile per la stessa e subirà gli effetti, anche sfavorevoli, che sempre alla stessa dovessero conseguire.
Tale tipologia non codificata si verifica in una molteplicità di casi concreti, il più noto dei quali rinviene indubbiamente in tema di rappresentanza apparente. In tale caso specifico, colui che agisce e pone in essere atti come se fosse un vero rappresentante (falsus procurator) sarà responsabile del suo operato, atteso che gli effetti giuridici, derivanti dalla sua condotta, ricadranno ineludibilmente sul medesimo.
Si evince dall’enucleazione di tali ulteriori figure di apparenza cosiddette “colpose”, la tendenza degli interpreti ad enfatizzare “l’aspetto soggettivo e individualizzante” 4 per quanto concerne entrambe le parti. Infatti, ciò deve valere per quanto concerne la visione del soggetto a cui svantaggio l’apparenza opera, dato che la creazione dello stato di apparenza funzionale ad ingenerare l’errore del terzo deve essere a lui imputabile, in quanto determinato dal suo comportamento, lato sensu inteso. Deve altresì valere in ordine al soggetto a cui beneficio l’apparenza opera, visto che a costui, al contrario del primo, non deve essere addebitabile alcuna colpa: l’errore in cui egli incorre deve essere un errore del tutto giustificabile alla luce della situazione di fatto, breviter un errore in cui sarebbe potuto cadere chiunque, nonostante l’uso dell’ordinanza diligenza e, come tale, scusabile.
2. Apparenza pura (o codificata)
La prima ipotesi della classe dell’apparenza “pura” è sussumibile nel principio “possesso vale titolo” di cui all’art. 1153 c.c.: il soggetto a cui sono alienati beni mobili da parte di chi non è proprietario, ne acquista la proprietà mediante il possesso, purché sia in buona fede al momento della consegna e sussista un titolo astrattamente idoneo al trasferimento della proprietà.5
Si tratta della bona fides soggettiva che si traduce nell’ignoranza dell’altruità del bene al momento della consegna, salvo che detta ignoranza non sia caratterizzata da colpa grave.
L’ulteriore elemento perfezionativo della fattispecie è la consegna effettiva del bene con titolo valido e idoneo al trasferimento del bene medesimo, anche se astrattamente.
Tale disposizione, prevede al secondo comma, l’ulteriore regola secondo cui “la proprietà si acquista libera da diritti altrui sulla cosa, se questi non risultano dal titolo e vi è la buona fede dell’acquirente“. Tale effetto liberatorio rende ancora più pregnante il principio del “possesso vale titolo“, offrendo un elevato grado di protezione all’accipiens in buona fede che riceva la res a non domino.
Può altresì accadere, nell’ambito della variegata casistica delle concrete vicende di cessione di beni, il caso di “più alienazioni” della stessa res da parte del legittimo proprietario.
A tal proposito, l’art. 1155 c.c. fissa la regola volta a preferire il soggetto che ha acquistato per primo il possesso in buona fede, anche se il titolo è posteriore: la buona fede vale a dirimere il conflitto che possa insorgere tra i vari aventi causa e legittima una funzione pubblicitaria del possesso.
Tale fattispecie potrebbe sembrare apparentemente analoga a quella degli artt. 1265 e 2644 c.c., ma attinente al settore mobiliare.
Difatti si potrebbe essere indotti a ritenere che la norma di cui all’art. 1155 c.c., analogamente a quanto sancito nell’art. 2644 c.c. in materia immobiliare (o all’art. 1265 c.c. in materia di cessione del credito), sancisca un titolo di preferenza tra due acquirenti a domino.
Al contrario, invece, merita un cenno di condivisione la tesi sostenuta dalla dottrina maggioritaria6, secondo cui la disposizione contenuta nell’art. 1155 c.c. solo apparentemente è parallela a quella degli artt. 1265 e 2644 c.c. In realtà, essa non è altro che un’applicazione del principio “possesso vale titolo” di cui all’art. 1153 c.c. e configura, pertanto, a favore del secondo (o successivo) acquirente, che consegue per primo il possesso in buona fede del bene, un’ipotesi di acquisto a non domino.
Vi sono peraltro alcune fondamentali differenze tra gli acquisti a non domino fondati sul possesso e quelli che dal possesso prescindono, come quelle inerenti alla modalità di tutela, che può essere assoluta o relativa spettante all’acquirente, al tipo di diritti trasmissibili, alla struttura e all’oggetto della buona fede.
La prima differenza riguarda il caso di acquisto fondato sul possesso e la tutela del terzo avente causa, non essendo in alcun modo condizionata da un precedente rapporto del dante causa con il titolare del diritto; in questo caso la tutela è assoluta e incondizionata.
La tutela opera, cioè, verso qualunque soggetto, diverso dall’alienante, che provi di essere il precedente proprietario e l’acquisto del terzo è determinato esclusivamente dalla sua buona fede possessoria, nella misura del titolo fornito dal non dominus.
Nei casi di acquisto a non domino non fondati sul possesso in buona fede, invece, l’acquirente non è tutelato nei confronti di qualsiasi soggetto estraneo al rapporto di alienazione che risulti essere il vero titolare del diritto.
In tal caso, muta il regime della tutela che non è più di tipo assoluto ma relativo: è predisposta una protezione relativamente a un determinato soggetto (diverso dall’alienante) e quindi qualificata (misurata) da un precedente rapporto invalido o inefficace dell’alienante con un soggetto, a priori individuato, nella fattispecie normativa, come portatore dell’interesse in conflitto con quello del terzo acquirente, oppure da un rapporto apparente di successione mortis causa che contrappone il non dominus come titolare apparente all’erede, o legatario, vero (art. 534 c.c.).7
La seconda differenza concerne la tipologia di diritti suscettibili di essere acquistati a non domino. I casi di acquisto fondato sul possesso considerano soltanto i titoli traslativi della proprietà o costitutivi di diritti reali limitati sulle cose.
Diversa è anche la nozione di buona fede, come innanzi già precisato, che viene in considerazione nelle due ipotesi.
La buona fede possessoria rilevante nelle fattispecie incardinate sul possesso deve sussistere al momento della consegna e si identifica, secondo la definizione dell’art. 1147, comma 1, c.c., nell’ignoranza di ledere l’altrui diritto che, in questo caso, consiste nell’ignoranza di acquistare a non domino, cioè da un soggetto non titolare e non legittimato a disporre del diritto.
La buona fede possessoria inoltre si presume (art. 1147, comma 3, c.c.) ed è preclusa dalla colpa grave (art. 1147, comma 2, c.c.).
Nelle fattispecie che prescindono dal possesso, per altro verso, la buona fede, in primis, deve sussistere al momento del titolo, non essendo la consegna elemento necessario della fattispecie, ed ha un oggetto diverso rispetto alla buona fede possessoria, perché in linea di principio non è esclusa dalla conoscenza che l’alienante non sia il vero titolare del diritto o non sia legittimato a disporre.
Un breve accenno, infine, merita il paradigmatico caso dell’acquisto a non domino dei beni immobili di cui all’art. 1159 c.c., il quale stabilisce come colui che, in buona fede, acquisti un immobile da chi non ne sia proprietario, in forza di un titolo idoneo (astrattamente e cioè il cui unico neo consiste nel fatto che chi trasferisce il bene non ne è proprietario ma che, per il resto, non sia affetto da altro vizio) a trasferire la proprietà e debitamente trascritto, ne compirà l’usucapione in suo favore col decorso di dieci anni dalla data di trascrizione.
In questo caso l’acquisto non avviene in via automatica (diversamente da quanto previsto dall’art. 1153 c.c. o dall’ipotesi prevista dal successivo art. 1155 c.c., e relative ai beni mobili), limitandosi la legge solo a contrarre il tempo necessario ai fini dell’usucapione del bene stesso: non più vent’anni bensì dieci, in presenza dei requisiti soggettivi e oggettivi previsti dalla norma.
Requisiti oggettivi sono il titolo astrattamente idoneo e la sua trascrizione, mentre il requisito soggettivo è la buona fede ex art. 1147 c.c.
In questo caso la trascrizione non assolve ad un ruolo meramente dichiarativo, e dunque non svolge la funzione, che solitamente le è propria, di opponibilità ai terzi, bensì costitutivo dell’acquisto: essa è elemento imprescindibile ai fini del perfezionamento della fattispecie acquisitiva, posto che il dies a quo ai fini del calcolo del tempo per l’usucapione decorre proprio dalla data di trascrizione del titolo.
3. Cenni sull’estendibilità analogica
Considerate le varie fattispecie legislative (codificate) come espressione del principio di apparenza, ineludibilmente si prelude alla questione, di non pacifica soluzione, della loro tipicità e tassatività o, viceversa, dello loro estendibilità in via analogica, su cui tanto l’ermeneutica dottrinale e giurisprudenziale ha soffermato la propria attenzione.
Ci si chiede, nello specifico, se, ad esempio, il citato effetto liberatorio di cui all’art. 1153 comma 2 c.c. sia applicabili al caso dell’usuicapione abbreviata dei beni immobili acquisitati a non domino.
L’analisi critica afferisce alla configurabililità o meno della cosiddetta usucapio libertatis, ovvero se l’effetto estintivo dei diritti gravanti su un bene immobile, quale diretta conseguenza derivante dal possesso continuato dello stesso da parte di un determinato soggetto che ne acquisterà appunto a non domino la proprietà, amesso con riferimento ai beni mobili, sia estendibile anche ai beni immobili, atteso il silenzio normativo in tal senso.
In breve, la questione pratica è se, oltre all’acquisto della proprietà dal tradens non proprietario, si perfezioni anche l’estinzione dei diritti altrui sulla res (sempre che l’accipiens non ne abbia conoscenza e che tali diritti non siano menzionati nel titolo astrattamente idoneo al trasferimento): in effetti, se tale effetto liberarorio (usucapio libertartis) sia generato dall’usucapione abbreviata.
Taluni autori8 e la giurisprudenza più risalente9 hanno affermato che la mancata previsione legislativa, unitamente all’interpretazione dell’art. 1153 c.c., farebbero ritenere che il legislatore avesse inteso escludere tale effetto per l’istituto dell’usucapione di beni immobili.
Pertanto l’estinzione dei diritti minori sarebbe potuta verificarsi esclusivamente in virtù della disciplina inerente alla prescrizione dei diritti reali per non uso, considerando, ai fini dell’operatività della prescrizione, anche la norma di cui all’art. 1166, comma 2, c.c.
Per converso, altra interpretazione dottrinale, ha sostenuto di poter applicare in via analogica la norma in questione, anche al caso contemplato dall’art. 1159 c.c., per i beni immobili, sussistendo analoghe esigenze di tutela dell’affidamento dei terzi e di certezza nella circolazione dei beni.
Vi sono autori10 che sostengono infatti come l’effetto estintivo del diritto usucapito si propaghi anche a tutti i diritti comunque collegati al diritto del precedente titolare: l’usucapione, in altri termini, avrebbe, quale effetto collegato e conseguente, l’acquisto del bene come libero da qualsivoglia peso, anche utilizzando in via analogica il disposto dell’art. 1153 c.c.
Probabilmente un approccio di tipo sistematico alla questione, potrebbe consentire di far luce sulla soluzione da adottare.
Quali sono gli interessi in gioco e, nel bilanciamento tra gli stessi, quali di questi l’ordinamento mira tutelare in via prevalente?
Da un lato vi è l’interesse del vero titolare del diritto sul bene a non subire un atto di disposizone di un soggetto non legittimato; dall’altro vi sono le ragioni, altrettanto valide in via astratta, di un terzo che, in perfetta buona fede, ritiene di acquistare (e di fatto acquista) il diritto dal legittimo dante causa, ignorando che sia, in realtà, un acquisto a non domino.
La finalità di sistema risiede evidentemente nella tutela della circolazione giuridica dei beni. In tale logica, probabilmente, l’apertura all’applicazione analogica potrebbe mostrarsi naturalmente conseguenziale.
Sul punto, tuttavia, la Corte di Cassazione, in periodi più recenti, ha negato l’applicabilità dell’istituto in esame per il caso in parola, confermandone tuttavia gli effetti sulla base della retroattività dell’acquisto per usucapione, decorrente fin dall’inizio del possesso.
La soluzione pratica è la seguente: la retroattività, avendo efficacia reale, è in grado di eliminare in radice il problema della compatibilità o meno del diritto usucapito con i diritti reali minori vantati dai terzi: “L’usucapione compiutasi all’esito di possesso ventennale da parte di un soggetto privo di titolo trascritto estingue le ipoteche iscritte o rinnovate a nome del precedente proprietario, quantunque non ancora perente, tale effetto estintivo riconducendosi non già ad una presunta usucapio libertatis bensì all’efficacia retroattiva dell’usucapione stessa”.11
Tale lettura si appalesa ad oggi francamente prevalente.
1 MENGONI Luigi, Gli acquisiti “a non domino”, Giuffrè, Milano, 1994.
2 Tale principio è stato ereditato dal diritto romano: la sua paternità è infatti da ricondurre ad Ulpiano, il quale lo enuncia in un brano del suo commentario all’editto, riportato dai compilatori giustinianei nel cinquantesimo ed ultimo libro del Digesto, che raccoglie i frammenti afferenti alle regulae iuris (D. 50.17.54: Ulp. 46 ad edictum). In base a tale regula, vigente anche negli ordinamenti moderni, in caso di acquisto della proprietà o di altro diritto soggettivo a titolo derivativo, il dante causa può trasferire al suo avente causa soltanto un diritto pari a quello di cui è attualmente titolare. Una cessione che violasse tale limite sarebbe, per converso, del tutto invalida, non potendo il tradens disporre di ciò che non gli spetta.
3 MENGONI Luigi, Opera citata, p. 3.
4 IMARISIO Natalia, L’apparenza del diritto: profili pratici ed applicazioni giurisprudenziali, Giuffrè, Milano, 2015.
5 La norma di riferimento è rappresentata ovviamente dall’art. 1153 c.c. ove è disciplinata una fattispecie complessa, caratterizzata da tre dati fondamentali: la provenienza del bene trasferito dal non proprietario; un titolo in astratto capace di trasmettere la proprietà della cosa; la consegna effettiva della res al soggetto che, ricevendone il possesso in buona fede, ne diventa proprietario.
6 MENGONI Luigi, Opera citata.
7 In tali termini, le fondamentali considerazioni in MENGONI, opera citata.
8 CATERINA Raffaele – SACCO Rodolfo, Il possesso, in Trattato di Diritto Civile e Commerciale, Giuffrè, Milano, 2014; BIGLIAZZI GERI Lina, BRECCIA Umberto, BUSNELLI Francesco Donato, NATOLI Ugo, Diritto Civile, UTET, Torino, 2007.
9 Cass. Civ., 27 maggio 1966, n. 1379; Cass. Civ., 21 novembre 1978, n. 5413; Cass. Civ., 28 maggio 1981, n. 3505; Cass. Civ., 27 marzo 2001, n. 4412.
10 DE MARTINO Francesco, Del possesso, in Commentario del Codice Civile (diretto da Scialoja e Branca), Zanichelli-Il Foro Italiano, Bologna-Roma, 1984; MENGONI Luigi, Opera citata.
11 Cass. Civ., 28 giugno 2000 e successive.
Nicola Comite