The right to be let alone: il reato di interferenze illecite nella vita privata nella giurisprudenza di legittimità

Alla fine dell’Ottocento, nacque la storia del diritto alla privacy ad opera di due giuristi statunitensi, Louis Brandeis e Samuel Warren.

I due giovani avvocati, mediante la pubblicazione di “The Right to Privacy” sulla Harvard Law Review, concepirono per primi la formula “the right to be let alone” (letteralmente “il diritto di essere lasciati in pace”), intesa come diritto alla riservatezza delle informazioni personali e come diritto alla libertà della propria vita privata.

Possiamo definire libertà e riservatezza della persona come equiparabili a due rette incidenti che, secondo la geometria euclidea, appartengono allo stesso piano e si intersecano quando hanno un solo punto in comune.

Nell’antica Roma, la Libertà era adorata come divinità, tanto da avere un tempio situato sull’Aventino.

Il diritto alla libertà (dal latino libertas –atis, “essere libero”), è un diritto posto – da ogni Stato democratico moderno – a fondamento dei propri princìpi costituzionali, tanto che la libertà della persona umana è contemplata come un diritto inviolabile.

Tale diritto è riconosciuto, quindi, tanto dalla nostra Carta Costituzionale (si pensi all’art. 13 Cost. che, al primo comma, sancisce che “la libertà personale è inviolabile”), quanto a livello comunitario dall’art. 6 della Carta Europea dei Diritti dell’Uomo secondo il quale “ogni individuo ha diritto alla libertà e alla sicurezza”.

Orbene, la violazione del diritto di libertà, inteso in questa sede come lesione del diritto alla libertà di domicilio, costituzionalmente tutelato dall’art. 14 Cost., apre le porte alla disamina della fattispecie di reato di cui all’art. 615-bis c.p. che punisce le “interferenze illecite nella vita privata”, fattispecie pacificamente ritenuta offensiva della riservatezza nei luoghi di privata dimora nei quali la stessa si dispiega.

Il Giudice delle Leggi, con la sentenza n. 149 del 2008, ha infatti osservato come la tutela del domicilio prevista dall’art. 14 Cost. venga in rilievo sotto due aspetti: “come diritto di ammettere o escludere altre persone da determinati luoghi, in cui si svolge la vita intima di ciascun individuo; e come diritto alla riservatezza su quanto si compie nei medesimi luoghi”.

Il fine ambito dall’ art. 615-bis c.p. è quello di proteggere la riservatezza che connota i momenti tipici della vita familiare, spesso preclusa dalle indebite intrusioni ab externo idonee a scalfirla, così da tutelare i diritti inviolabili sanciti dagli artt. 2 e 14 della Costituzione.

Il concetto richiama alla memoria il famoso film “The Truman show”, dove il grande Jim Carrey interpreta magistralmente il protagonista involontario di uno spettacolo televisivo incentrato sul racconto della sua stessa vita.

Si pensi anche ai popolari reality show, dove i protagonisti vengono costantemente, e nel caso di specie consapevolmente, ripresi in tempo reale in situazioni di vita quotidiana.

Dunque, proviamo solo ad immaginare di vivere alcuni momenti intimi e privati della nostra vita sotto i riflettori, assolutamente ignari di chi ascolta o dell’occhio indisturbato che ci osserva. Sicuramente, ove dovessimo scoprirlo, percepiremmo un forte senso di fastidio e di indignazione, oltre a sentirci invasi, lesi nel nostro pudore e defraudati della nostra riservatezza.

Il punto di partenza nell’affrontare tale delicata tematica è l’analisi della norma de qua.

Nello specifico, l’art. 615-bis c.p. stabilisce che “chiunque, mediante l’uso di strumenti di ripresa visiva o sonora, si procura indebitamente notizie o immagini attinenti alla vita privata svolgentesi nei luoghi indicati nell’articolo 614, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni.

Alla stessa pena soggiace, salvo che il fatto costituisca più grave reato, chi rivela o diffonde, mediante qualsiasi mezzo di informazione al pubblico, le notizie o le immagini ottenute nei modi indicati nella prima parte di questo articolo.

I delitti sono punibili a querela della persona offesa; tuttavia si procede d’ufficio e la pena è della reclusione da uno a cinque anni se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio, con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla funzione o servizio, o da chi esercita anche abusivamente la professione di investigatore privato”.

Il bene giuridico protetto è la libertà domestica, ossia l’esplicazione della persona nella sfera spaziale che ne renda possibile la più piena e libera realizzazione.

La precipua finalità è di prevenire ed evitare atti di intromissione indebita – senza una materiale introduzione fisica – ma solo mediante l’utilizzo di tecnologie implementate per la ripresa di tipo visivo, sonoro o misto

Dalla lettura del terzo comma, emerge che il reato possa essere commesso anche da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio oppure da chi esercita anche abusivamente la professione di investigatore privato, configurandosi così una circostanza aggravante.

Ai fini della configurabilità dell’aggravante in parola, è necessario che la realizzazione dei reati previsti dal medesimo articolo sia connessa con l’esercizio del potere o la violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio ovvero con l’esercizio della professione di investigatore privato, nel senso che le indicate qualità devono avere almeno agevolato la commissione del reato (Cass. Pen., n.33265/2015).

Vieppiù. Al fine di circoscrivere l’ambito in cui l’interferenza altrui diviene penalmente rilevante e conseguentemente suscettibile di sanzione, la norma in esame stabilisce che la condotta si concretizza nell’attività di procurarsi indebitamente immagini della persona offesa all’interno nei luoghi indicati dall’art. 614 c.p..

In questa sede, si cercherà di trattare più aspetti possibili, ponendo alcuni interrogativi, pienamente o solo in parte, colmati dalla giurisprudenza del Supremo Consesso.

In primis, ci si domanda, ai fini della configurabilità del reato di interferenze illecite nella vita privata, in che modo possa incidere il consenso della persona cui la condotta illecita è riferita.

In tal senso, la Cassazione, con la recente sentenza n. 4840/2024, riprendendo le coordinate ermeneutiche dettate da precedenti pronunce, ha ribadito che il reato di cui all’art. 615-bis c.p. sussiste anche quando sia posto in essere da persona convivente, in sua assenza.

Secondo la Corte infatti la ripresa di vita privata altrui, anche operata da parte di un soggetto che viva o meno stabilmente all’interno dello stesso luogo, può essere lecita soltanto nel caso in cui l’autore stesso della condotta condivida con i medesimi soggetti e con il loro consenso – espresso in forma chiara e inequivocabile – l’atto della vita privata oggetto di captazione.

Appare quindi lapalissiano come la mancata autorizzazione alla ripresa renderebbe illecita la condotta.

Ed ancora. L’ambito spaziale oggetto di tutela, individuato dal riferimento ambientale inteso come luogo di dispiegamento della vita privata, che ruolo ha ai fini della configurazione del reato de quo?

In tal senso, il riferimento contenuto nell’art. 615-bis, co. 1, c.p.p. ai luoghi indicati nell’art. 614 c.p. ha la funzione di delimitare gli ambienti nei quali l’interferenza nella altrui vita privata assume penale rilevanza, ma non anche quella di recepire il regime giuridico dettato dalla disposizione da ultima citata (Cass. Pen., n. 9235/2012).

Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto sussistere il reato di interferenze illecite nella vita privata in relazione alla condotta dell’investigatore privato che aveva effettuato riprese di un rapporto sessuale all’interno di una abitazione privata con il consenso del suo titolare ma all’insaputa dell’altro soggetto coinvolto nel rapporto.

Altresì, i giudici di legittimità affermano che integra il reato ex art. 615-bis, la ripresa fotografica da parte di terzi di comportamenti che si svolgono in luoghi di privata dimora solo se questi sono sottratti alla normale osservazione dall’esterno, ma non se i medesimi sono liberamente visibili dall’esterno da terzi senza ricorrere a particolari accorgimenti (ex multis, Cass. Pen., n. 40577/2008; Cass. Pen. n. 25363/2015; Cass. Pen., n. 9932/2020).

Seguendo la stessa linea interpretativa è intervenuta una pronunzia delle Sezioni Unite, chiarendo in via generale che “rientrano nella nozione di privata dimora esclusivamente i luoghi nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata, e che non siano aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso del titolare, compresi quelli destinati ad attività lavorativa o professionale” (Cass. Pen. SS.UU., n. 31345/2017).

La Cassazione ha altresì esteso la nozione di “luogo di privata dimora”, ricomprendendo all’interno del saeptum anche la “toilette” di un luogo di lavoro.

Nello specifico ha riconosciuto, ai fini della configurazione del reato di cui all’art. 615 bis c.p., l’ipotesi relativa all’installazione di apparecchiature volte alla captazione di immagini all’interno del bagno di uno studio professionale.

In particolare, la condotta posta in essere da uno dei titolari dello studio si sostanziava nella captazione, mediante telefono cellulare opportunamente occultato, di immagini relative alle impiegate.

In tale circostanza, la Corte ha precisato come la disponibilità del luogo anche da parte dell’autore della indebita interferenza non incida sulla sussistenza del reato, che mira a tutelare la riservatezza domiciliare della persona offesa (Cass. Pen., n. 27847/2015).

Diversa è la fattispecie in cui il soggetto, introducendo una microcamera all’interno del bagno dell’ufficio riservato al personale femminile, non riuscendo a carpire le immagini a causa di un guasto tecnico dello strumento medesimo, non sia riuscito a procurarsi alcuna immagine o notizia relativa alla vita privata delle utenti.

Orbene, in questi casi, secondo la Corte l’art. 615-bis c.p. è configurabile anche nell’ipotesi tentata (Cass. Pen., n. 4669/2018).

Sulla scorta di quanto suesposto, è possibile considerare rientrante nel concetto di “luogo di privata dimora” anche il locale bagno di pertinenza di un circolo privato, in quanto luogo accessibile solo da una cerchia determinata di persone ovvero dai frequentatori del circolo privato?

A tal proposito è bene ricordare le indicazioni delle Sezioni unite, che esigono “un particolare rapporto con il luogo in cui si svolge la vita privata, in modo da sottrarre la persona da ingerenze esterne, indipendentemente dalla sua presenza” (Cass. Pen. SS.UU., n. 26795/2006).

Giova riportare alcuni passaggi della detta sentenza, nella quale, in relazione al contesto interpretativo della normativa processuale in tema di videoriprese, si è osservato che “non c’è dubbio che il concetto di domicilio individui un rapporto tra la persona e un luogo, generalmente chiuso, in cui si svolge la vita privata, in modo anche da sottrarre chi lo occupa alle ingerenze esterne e da garantirgli quindi la riservatezza. Ma il rapporto tra la persona e il luogo deve essere tale da giustificare la tutela di questo anche quando la persona è assente.

In altre parole, la vita personale che vi si svolge, anche se per un periodo di tempo limitato, fa sì che il domicilio diventi un luogo che esclude violazioni intrusive, indipendentemente dalla presenza della persona che ne ha la titolarità, perché il luogo rimane connotato dalla personalità del titolare, sia o meno questi presente.

Diversamente nel caso della “toilette” e nei casi analoghi, il luogo in quanto tale non riceve alcuna tutela. Chiunque può entrare in una toilette pubblica, quando è libera, e la polizia giudiziaria ben potrebbe prenderne visione indipendentemente dall’esistenza delle condizioni processuali che legittimano attività ispettive.

Perciò con ragione la giurisprudenza ha introdotto il requisito della “stabilità”, perché è solo questa, anche se intesa in senso relativo, che può trasformare un luogo in un domicilio, nel senso che può fargli acquistare un’autonomia rispetto alla persona che ne ha la titolarità. Deve quindi concludersi che una toilette pubblica non può essere considerata un domicilio neppure nel tempo in cui è occupata da una persona.

Ulteriore quesito, sempre relativo al riferimento ambientale cui la norma penale si riferisce, attiene all’autovettura.

Invero quest’ultima – il cui utilizzo scandisce ormai la nostra vita quotidiana- può essere qualificata, anche mediante una interpretazione estensiva, come ambito spaziale attinente alla vita privata svolgentesi nei luoghi indicati nell’ art. 614 c.p.?

Con la decisione n. 3446/2023, la Corte di Legittimità, in merito alla questione concernente la configurabilità o meno del reato de quo nel caso di installazione di un dispositivo GPS dotato di microfono in auto di una terza persona, ha affermato il principio secondo cui “Non integra il reato di interferenze illecite nella vita privata la condotta di colui che installi nell’auto di un soggetto (nella specie ex moglie) un dispositivo GPS dotato di microfono, in modo da consentire la ripresa sonora di quanto accada nella predetta auto, in quanto, oggetto della tutela di cui all’art. 615-bis è la riservatezza della persona in rapporto ai luoghi indicati nell’614 c.p. – richiamato dall’art. 615-bis – tra i quali non rientra l’autovettura che si trovi sulla pubblica via”.

In conclusione, la Corte di Cassazione riconosceva, nel succitato contesto, la configurazione del reato di interferenza illecita nella vita privata, solo nel caso in cui l’abitacolo sia destinato, in difformità dalla sua naturale funzione, ad uso di privata abitazione.  

Orbene, come in precedenza osservato, la norma incriminatrice sanziona i soli comportamenti di interferenza posti in essere da chi risulti estraneo agli atti di vita privata oggetto di indebita captazione.

Pertanto vi è da chiedersi: un soggetto, che in qualità di coniuge convivente non è qualificabile come terzo estraneo alla vita privata della persona ripresa, in caso di indebita captazione relativa a momenti di intimità della moglie, risponde del reato di cui all’art. 615-bis c.p. o va esente da qualsivoglia rimprovero penale?

Sulla questione si è pronunciata la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 36109/2018, statuendo che si configura il reato di interferenza illecita nella vita privata qualora il coniuge, all’insaputa del proprio consorte, ricorra a strumenti di ripresa audio/video al fine di scongiurare un ipotetico tradimento.

Nel caso in esame, l’imputato aveva filmato la propria moglie, nuda o seminuda, all’interno del bagno o della camera da letto, intenta all’igiene del corpo o alla cura della persona, in assenza di elementi che dimostrassero che la donna volesse condividere con il marito i descritti momenti di intimità.

La Corte, nella medesima circostanza, ha stabilito che “non risulta decisivo per escludere la rilevanza penale della condotta che il fatto avvenga nell’abitazione di chi ne sia autore, giacché ciò che rileva è che il dominus loci non sia estraneo al momento di riservatezza captato”.

Sul punto, è interessante carpire un orbiter dictum della Giurisprudenza, la quale ha specificato che la ripresa assuma i connotati indebiti quando l’autore non partecipi alla scena ritratta; chiarendo così la linea di demarcazione tra la condotta indebita e quella consentita dalla legge e, altresì, precisando che tale confine non è desumibile dalla natura del momento di riservatezza violato, bensì dalla circostanza che il soggetto attivo vi sia stato o meno partecipe (Cass. Pen., n. 36109/2018).

Infine, vi è da domandarsi se vi siano margini di configurabilità dell’art. 615-bis c.p., nel caso in cui il soggetto agente decida di filmare rapporti sessuali consumati in casa con la convivente, all’insaputa di quest’ultima.

È opportuno, in ordine a quanto sopra, delineare due contrapposte linee interpretative.

Il primo orientamento è relativo alla tanto discussa, quanto celebre, sentenza n. 22221/2017.

Con tale pronuncia, la Suprema Corte ha stabilito che non integra il reato di interferenze illecite nella vita privata la condotta del soggetto che provveda, con l’uso di strumenti di ripresa visiva, quali ad esempio videocamere o smartphone, a filmare rapporti sessuali consumati in casa con la convivente, senza il consenso di quest’ultima.

Conseguentemente, secondo la motivazione, il delitto di cui all’art. 615 bis non sarebbe configurabile, atteso che le scene riprese riguardano atti svolti in un luogo qualificabile per entrambi come privata dimora, senza interferenze indebite di terzi estranei (Cass. Pen., n. 22221/2017).

Tale orientamento giurisprudenziale è stato altresì riconfermato dal Supremo Consesso che, in un caso analogo al precedente, con la sentenza n. 27160/2018, ha ribadito che “non integra il reato di interferenze illecite nella vita privata la condotta di colui che mediante l’uso di strumenti di ripresa visiva provveda a filmare in casa propria rapporti intimi intrattenuti con la convivente, in quanto l’interferenza illecita prevista e sanzionata dal predetto articolo è quella proveniente dal terzo estraneo alla vita privata, e non già quella del soggetto che, invece, sia ammesso a farne parte, sia pure estemporaneamente, mentre è irrilevante l’oggetto della ripresa, considerato che il concetto di “vita privata” si riferisce a qualsiasi atto o vicenda della persona in luogo riservato”.

In definitiva, sulla scorta di tale orientamento giurisprudenziale, chi riprende un proprio rapporto sessuale all’insaputa del partner non commette alcun reato, perché quest’ultimo aveva precedentemente ammesso il partner a quel particolare momento di intimità.

È opportuno delineare – per chiarezza espositiva e, soprattutto, al fine di cogliere un raggio di speranza in relazione ad una tematica così tanto delicata quanto purtroppo attuale – un diverso orientamento secondo cui integra il reato di interferenze illecite nella vita privata la condotta di colui che carpisca, all’interno della propria dimora, con strumenti di captazione visiva o sonora, le immagini di un rapporto sessuale condiviso, là dove il partner non abbia implicitamente o esplicitamente prestato il proprio consenso alla ripresa.

In motivazione, la Corte ha precisato che la mancanza di tale consenso rende di per sé la condotta indebita, in quanto lesiva del diritto alla riservatezza del partner ignaro (Cass. Pen., n. 13384/2018).

Si registrano due ulteriori e recenti orientamenti giurisprudenziali contrapposti, i cui argomenti ruotano ad un unico profilo: quello relativo alla condotta di colui che, ammesso ad accedere nell’abitazione del coniuge separato, provveda a filmare, senza consenso, gli incontri tra quest’ultimo e il figlio minore.

Nello specifico la Cassazione penale, con la sentenza n. 24848/2023, ha chiarito che la sopra descritta condotta posta in essere dal coniuge separato non integra il delitto di interferenze illecite nella vita privata, in quanto l’art. 615-bis c.p., che tutela la riservatezza domiciliare, sanziona la condotta di chi risulti estraneo agli atti – oggetto di captazione – di vita privata, ossia agli atti o vicende della persona in luogo riservato e non quella di chi sia stato ammesso, sia pure estemporaneamente, a farne parte.

Relativamente al secondo e contrapposto orientamento, la Cassazione – dopo un’attenta disamina delle circostanze di fatto relative all’installazione di una microspia all’interno dell’abitazione da parte del convivente, e la conseguente rilevanza penale – ha rilevato come la condotta posta in essere dall’imputato integrasse il reato di interferenze illecite nella vita privata ai sensi dell’art. 615 bis c.p. (Cass. Pen., n. 12713/2023)

Nel caso di specie, l’imputato mediante una microspia installata all’interno dell’abitazione dove viveva insieme alla ex compagna, con la quale era in corso un procedimento per l’affidamento del figlio minore, si era così procurato indebitamente notizie attinenti all’intera vita privata della donna.

Il movente della condotta dell’imputato veniva individuato nel tentativo di provare la manipolazione del minore da parte della madre contro di lui.

Alla luce delle pregresse considerazioni – auspicando in un ben più incisivo riconoscimento relativo alla tutela di quelli che rientrano tra i fondamentali corollari delle nostre vite, ovvero riservatezza, libertà e privacy – si vuole concludere con una celebre frase di Nelson Mandela, pronunciata all’indomani della sua ritrovata libertà: “Essere liberi non significa solo sbarazzarsi delle proprie catene, ma vivere in un modo che rispetta e valorizza la libertà degli altri”.

Facebook
Twitter
LinkedIn
WhatsApp
Email

Articoli correlati

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *