All’attenzione sociale sopraggiungono innumerevoli e preoccupanti notizie di atti violenti. Spesso nei riguardi del partner, diverse volte in ambito domestico.
Le inquietanti vicende, sopravvenute in esponenziale crescita, nel corso degli ultimi tempi, delineano identità criminali contraddistinte tutte dall’analogo assioma comportamentale. Un ego ipertrofico ma al contempo fragile che fa violenza quando viene messo in discussione.
Recenti casi di cronaca attestano crimini di sangue per motivi di gelosia, rifiuto da parte del partner o tentativi di fuoriuscita dalla bolla oppressiva costituita dal compagno. Tutti con lo stesso esito violento e tragico.
Ed è così che, tra la fuga di notizie, si è iniziato a cercare un unico comune denominatore nei comportamenti deviati: la patologia.
Quella stessa patologia, evocata come sostegno per la strategia difensiva, in modo fin troppo rudimentale, meriterebbe in realtà una più attenta riflessione, soprattutto in ordine al vero confine tra la patologia invalidante e il disturbo dello spettro della personalità.
Nel nostro ordinamento, un primigenio sentore dell’esistenza di soggetti malevoli in grado di soggiogare, per i propri fini, altri individui magari più labili, era stata cristallizzata, nella figura del reato di plagio, all’art. 603, dal codice penale Rocco.
Tale figura, è noto, è stata dichiarata illegittima da un punto di vista costituzionale, con sentenza n. 96 del 8 giugno del 1981, per il ritenuto deficit di tassatività intesa quale precipitato del principio di legalità.
Tale norma recitava “chiunque sottopone una persona al proprio potere in modo da ridurla in totale stato di soggezione, è punito con la reclusione da cinque a quindici anni”.
La Corte ha evidenziato l’obiettiva difficoltà a definire legalmente il concetto di “annullamento della volontà”, in modo netto e puntuale, senza incorrere nella deriva di arbitrarie interpretazioni. La norma, come formulata, poteva prestarsi a un’applicazione eccessivamente elastica, mettendo a rischio la certezza del diritto.
Il problema nasceva dalla considerazione che un conto era parlarne in termini vaghi, altro era affrontare un processo penale e comprovare la sussistenza di una tale soggezione, intesa anche solo come sudditanza psicologica.
Pertanto, in virtù delle sempre più pressanti esigenze di tutela del diritto dell’imputato, si era reso necessario, per la Corte, espungere tale disposizione dal nostro ordinamento, creando, di fatto, però una vacanza di tutela.
Tale spazio lasciato vuoto, in questi tempi drammatici, si avverte come non mai, soprattutto per l’avvento e l’incremento dei soggetti rientranti nella categoria psicodiagnostica detta cluster B, afferente ai disturbi dello spettro della personalità che, pur non essendo invalidanti, portano un individuo ad assumere atteggiamenti violenti e soggiogatori nei confronti della vittima, che spesso possono spingersi fino a distruggerne la vita.
Si tratta del Disturbo di Personalità Borderline, del Disturbo di Personalità Narcisistico, del Disturbo di Personalità Istrionico e del Disturbo di Personalità Antisociale.
Tali inquadramenti nosologici hanno caratteri comuni: difficoltà di regolazione delle emozioni, elevati livelli di impulsività (intesa quale incapacità di controllare i propri comportamenti fino ad inficiare il conseguimento degli obiettivi a lungo termine), evidenti difficoltà nell’instaurare e mantenere relazioni stabili con gli altri significativi.
Norme che tutelino la vittima da soggetto che pongano in essere comportamenti dal soggiogare alla violenza morale e fisica più o meno velata, dal punto di vista penale, sono poche e il più delle volte non idonee a tutelare la parte offesa nella casistica concreta.
Si pensi al delitto ci cui alla riduzione in schiavitù, previsto e punito, dall’art. 600 c.p. che recita “chiunque esercita poteri corrispondenti a un diritto di proprietà”, ma vincola il delitto alla costrizione di “attività lavorative o sessuali ovvero all’accattonaggio o comunque al compimento di attività illecite”.
Evidentemente la norma non pare sufficiente ad accogliere il fenomeno del disturbo dello spettro della personalità. Infatti, forme come il narcisismo o l’istrionismo, possono condurre a esiti diversi rispetto a quelli codificati nel citato articolo.
D’altro canto, la detta norma era stata precipuamente ideata per il traffico di persone.
Inadeguata a racchiudere il fenomeno anche la norma relativa ai cosiddetti “atti persecutori”, enucleata nell’art. 612 bis c.p., di per sé orientata a una materialità del comportamento, costituendo, tra l’altro un reato abituale.
Anche il reato di maltrattamenti contro familiari o conviventi, di cui alla recente riformulazione dell’art. 572 c.p., da taluni invocato, in realtà si mostra inidoneo a sussumere la casistica che ci occupa, per la difficoltà a ricondurre nell’alveo dei maltrattamenti (materiali o morali) condotte di difficile connotazione e individuazione.
Va infatti considerato che i comportamenti promananti dal disturbo della personalità, per loro natura, sono fenomeni spesso ambigui e intermittenti, ma potenzialmente capaci di produrre danni devastanti sulle vittime.
Ad oggi, di fatto, manca una specifica disposizione penale che sanzioni l’esercizio di un’influenza psicologica dominante tesa a sovvertire completamente la volontà della persona, rendendola incapace di agire secondo i propri interessi, i propri desideri e finanche i propri valori.
In qualche misura, nella casistica concreta vengono a essere più o meno gradualmente soppresse le facoltà di autodeterminazione, fino a situazioni estreme di annullamento della volontà.
Del resto, il pericolo è che venga attribuito al narcisismo patologico una chiave di lettura più superficiale – e ben più pericolosa – ovvero che, tenuto conto di come il soggetto affetto da narcisismo patologico alterni momenti di lucidità a quelli di follia e ad alcune forme di monomania, si possa ritenere che la sua psiche non sia in grado di determinarsi in maniera corretta, e quindi, che anche le malattie cosiddette intermittenti possano ricondursi al vizio totale di mente, con tutte le conseguenze devastanti che ne deriverebbero in tema di esenzione della responsabilità penale.
Tale conseguenza appare fondamentalmente iniqua e disequilibrata, soprattutto in detrimento alla persona offesa dal reato e ai danneggiati, in quanto comporterebbe una vera e propria area di immunità a beneficio di soggetti che, capaci di intendere e volere lo sono, ma semplicemente con un’innata predisposizione nella personalità a soggiogare gli altri, provocando danni talvolta irreversibili.
Le persone affette dal narcisismo patologico spesso soffrono di disturbi a lungo periodo e superabili solo con durature terapie psicoterapiche se non, in alcuni casi, addirittura di tipo psichiatrico.
Diversi studi scientifici comprovano come le persone vittime di tali abusi e controllo patologico da siffatti soggetti presentino, dal canto loro, forme d’ansia, panico, dipendenza estrema (eterodeterminazione), depressione, isolamento sociale e incapacità di liberarsi, tanto che gli esperti parlano di cosiddetto “trauma complesso“.
Si tratta di conseguenze gravissime e spesso catastrofiche per la vittima, in danno all’integrità psichica, individuale e relazionale. A tacere della circostanza che, per rialzarsi, la vittima o i suoi familiari dovranno mettere mano alle proprie finanze per una lesione cagionata da un soggetto capace, anzi spesso fin troppo, date le spiccate qualità intrinseche manipolatorie del narcisista.
Numerosi casi di cronaca dimostrano come individui narcisisti riescano a “distruggere” la vittima anche da un punto di vista finanziario, vista anche l’intrinseca tendenza al parassitismo sociale di molti di loro.
Le vittime di abuso narcisistico, dunque, qualora l’aguzzino non sfoci, con i propri comportamenti, nel compimento di un delitto vero e proprio – e lì sarebbe una tragedia – non trovano alcuna tutela nell’ordinamento, né riconoscimento del proprio stato di soggezione, pericolo o sfruttamento.
Altro rischio correlato è ovviamente rinvenibile in sede civile. Il narcisismo patologico è spesso ritenuto un fattore influente nella crisi della coppia sposata, eppure tende a passare inosservato ai fini della pronuncia di addebito della separazione e del divorzio, conducendo di fatto all’esenzione all’obbligo di un ristoro dei danni alla vittima coniuge.
Breviter, finché non venga cristallizzata tale forma di disturbo come dannoso per la personalità della vittima, a motivo della sua intermittenza o equivocità, continuerà a passare inosservato, salvo nei casi, estremi e spesso irreparabili, in cui non sfoci nel delitto.
Il narcisismo patologico presenta diverse sfumature di gravità e non sempre il soggetto che ne è affetto attua comportamenti delittuosi in senso manifesto. Egli opera dietro le quinte, ponendo in essere finzioni e condotte ambigue, manipolatorie, persuasive, simulatorie, apparentemente solidali, che probabilmente una volta sarebbero cadute sopra l’ombrello protettivo del plagio.
Si delinea così un’ultima riflessione al tramonto di questo breve spunto.
Espungere tout court il reato di plagio, nel rincorrere l’idea di una scienza giuridica esatta e iper-attenta ai principi, ha forse finito per sacrificare un occhio vigile e attento su una involuzione inaspettata e pericolosa della personalità asociale?
Da un lato, la necessità di rigore e della ricerca di un approccio giuridico formalmente certo ha condotto a dei correttivi ineludibili al codice Rocco.
Tuttavia, dall’altro, ha portato l’interprete e l’operatore del diritto a domandarsi se l’eccessivo rigore scientifico potrebbe non essere adeguato in primis alla tutela della veste umana, così imperfetta e mutevole per natura, e in secundis, se tale forzatura del diritto non finisca con lo snaturare l’esigenza sociale che ne è, in prima istanza, la fonte.
De jure condendo, andrebbe attentamente vagliata la necessità di reintrodurre la figura criminosa di plagio, elaborandone una formulazione più puntuale che tenga conto di una serie di indici presuntivi idonei a connotare meglio le condotte che andrà a punire.
Avv. Isabella Marcianò
2 risposte
Articolo estremamente interessante con grandi spunti di riflessione.
Complimenti all’autrice.
Un articolo ben strutturato, con un linguaggio forbito ma allo stesso tempo chiaro, che denota una profonda conoscenza dell’argomento, per l’ottima analisi di contesto, svolta sotto l’aspetto psicosociale e legislativo.
Complimenti avv. Marcianò.