Fenomenologia della violenza psicologica, risvolti penali di una riflessione socio-criminologica e prevenzione

Premessa

Nella poliedrica fenomenologia della violenza, può scorgersi una netta cesura: da una parte, la si può carpire come modello comportamentale interpersonale spesso etichetatto “innocuo”; dall’altra quale elemento che connota un facere penalmente rilevante.

Nel corso dei decenni, ci si è mossi verso una progressiva delineatura e schematizzazione delle varie forme di violenza, promuovendone un distinguo sempre più analitico.

Tra queste, possono menzionarsi quelle – ai più note – come la violenza fisica, psicologica, economica, domestica, di genere e sessuale financhè alle nuove forme, progenie del progresso tecnologico, tra cui il cyberbullismo ed il revenge porn.

Nella diversità empirica con cui il fenomeno si palesa, possono scorgersi tratti convergenti.

Primariamente si assiste sempre ad uno squilibrio tra le parti che ha, quale vettore, la forza (sia essa fisica, numerica, gerarchica, psicologica, ecc.).

In secondo luogo, questa forza è statisticamente diretta verso vittime qualificabili come soggetti vulnerabili.

Si significhi prodromicamente un elemento di rilievo: quando si menzionano “soggetti vulnerabili”, l’immaginario collettivo cade erroneamente nella convinzione che debbasi trattarsi necessariamente di donne e minori; esiste, invero, un numero “oscuro“, nettamente superiore ai dati ufficialmente riportati, in cui è l’uomo il soggetto vulnerabile, vittima delle più efferate forme di violenza di genere.

La violenza, invero, non ha sesso, non ha genere. Si manifesta nello stesso modo, creando situazioni di coercizione psicologica come gli stessi “indici oscuri” dimostrano.

Alcuni dati degli ultimi anni

Nel primo quadrimestre del 2024, i casi di femminicidio, in Italia, hanno superato la dozzina.

Un dato – seppur tra i più bassi a livello europeo – sicuramente drammatico ed esemplificativo della costante attualità del tema della violenza di genere.

Ancora, recenti indagini condotte dal Servizio Analisi Criminale del Ministero dell’Interno, in collaborazione con Save The Children, evidenziano come sono più di cinquemila i minori che, nel 2023, sono stati coinvolti, direttamente o indirettamente, in episodi di violenza domestica.

Unitamente a ciò, secondo un report dell’organizzazione PermessoNegato APS (Against Non-Consensual Pornography), sarebbero oltre due milioni le vittime di revenge porn in Italia. Più di quattordici milioni gli account italiani che avrebbero visualizzato immagini online carpite o diffuse senza consenso.

La normativa nazionale, europea e
internazionale

A partire dai primi anni del duemila, si è assistito, sul piano nazionale, sovranazionale ed internazionale, ad un proliferare normativo volto a prevenire nonché contrastare il fenomeno della violenza di genere.

Con la Legge n. 38/2009, è stato introdotto, nel Codice Penale, l’art. 612-bis, rubricato “Atti persecutori” (cosiddetto stalking), diretto a contrastare condotte idoneamente e dirette a provocare alla vittima un perdurante stato di ansia, paura e timore per l’incolumità propria e altrui.

La Legge n. 119/2013, rubricata “Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere”, ha istituito il reato di omicidio volontario aggravato dal rapporto di parentela o convivenza con la vittima di sesso femminile. Ha altresì inasprito le pene in materia di maltrattamenti familiari e violenza sessuale.

Si segnala poi la Legge n. 4/2018, recante “Disposizioni a favore degli orfani di crimini domestici“, che, da un lato, mira a dare pari dignità alle unioni civili e alle convivenze more uxorio con modifiche all’art. 577 c.p., e, dall’altro, facilita per gli orfani di crimini domestici tutte quelle attività processuali conseguenti al reato, agevolando per esempio l’accesso al patrocinio a spese dello stato.

Si permetta di menzionare parimenti il provvedimento “pietra miliare”, noto ai consociati come “Codice Rosso”, emanato con la Legge n. 69/2019, promosso con l’obiettivo di istruire un canale preferenziale di accesso alla giustizia per prevenire il fenomeno della vittimizzazione secondaria nei casi di violenza attraverso un intervento celere e coordinato degli organi dell’Autorità Giudiziaria, potendosi così disporre misure urgenti atte a inibire le condotte violente attraverso misure pre-cauterali e cautelari.

Ha altresì introdotto l’art. 612-ter c.p. che punisce il reato di “Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti” (revenge porn).

In anni più recenti, è sopravvenuta la Legge n.53/2022, in materia di “statistiche in tema di violenza di genere”, che, all’art. 1, rubricato “Finalità”, dispone come la stessa sia “volta a garantire un flusso informativo adeguato […] al fine di progettare adeguate politiche di prevenzione e contrasto e di assicurare un effettivo monitoraggio del fenomeno”.

Infine, quale rafforzamento a livello nazionale, si evidenzi, da ultimo, la Legge n. 168/2023 recante “Disposizioni per il contrasto della violenza sulle donne e della violenza domestica”, figlia dei deprecabili fatti di cronaca che hanno scosso l’opinione pubblica a seguito dell’omicidio di Giulia Cecchettin. Tra le novazioni di rilievo, si ravvisi l’arresto in flagranza differita fino a 48 ore nonché la prelazione processuale attribuita ai procedimenti per maltrattamenti, stalking, revenge porn e violenza sessuale.

A livello sovranazionale, si segnali la Direttiva n. 2011/99 attraverso la quale si riconosce una tutela comunitaria alle vittime di violenza, potendo sì queste godere dello stesso grado di protezione in ogni altro Stato UE nonché la legittimazione in capo agli organi giusdicenti di emettere un ordine di protezione europeo.

In ultimo, a livello internazionale trova corpo la Convenzione sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, meglio nota come “Convenzione di Istanbul“, sottoscritta nel 2011 ed entrata in vigore nel 2014.

La Convenzione in parola si presenta quale primo strumento internazionale diretto a predisporre un quadro normativo organico a tutela delle vittime di violenza. Impone agli Stati standards minimi di prevenzione e tutela nonchè l’adozione di ogni strumento in tal senso necessario qual anche la presenza di un adeguato numero di centri antiviolenza, rifugi, centri di consulenza psicologica e linee telefoniche gratuite h24.

Abuso psicologico e manipolazione

Affrontando hic et nunc la species della “violenza psicologica”, vari ed eterogenei sono i comportamenti che, con gradazioni, concretizzano un abuso psicologico sulla vittima.

Nel 1996, nel suo libro De la violence, l’antropologa Françoise Héritier, discepola e successore di Claude Lévi-Strauss al prestigioso Collège de France di Parigi, ipotizza l’esistenza di una componente involontaria – quindi istintiva, radicata nella natura antropica – della violenza.

La studiosa definisce violenza “ogni costrizione di natura fisica o psichica che porti con sé il terrore, la fuga, la disgrazia, la sofferenza o la morte di un essere animato; o ancora qualunque atto conclusivo che ha come effetto volontario o involontario l’espropriazione dell’altro, il danno o la distruzione di oggetti inanimati“.

La violenza psicologica costituisce, più in dettaglio, una quota di violenza spesso poco visibile ab aesterno.

Non è necessaria l’afferenza al corpo, sia in senso attivo che passivo, per aversi violenza: breviter, la violenza non deve essenzialmente passare attraverso il corpo, potendo utilizzare canali immateriali.

Forme di sopraffazione mentale costituiscono la manifestazione non tangibile di un istinto di dominio dell’essere umano sui propri simili.

Nel 1998, il sociologo Pierre Bourdieu, nel suo saggio La domination masculine, parla di “violenza inapparente“, definizione che compendia, tra le diverse connotazioni, l’insidia profonda contenuta in siffatta forma di violenza, spesso non colta manco dalla vittima diretta della stessa nè tanto più riconoscibile dalla comunità sociale.

La violenza psicologica, molto spesso “inapparente“, configura violenza di genere qualora si traduca in condotte dirette a produrre uno stato di soggezione nei confronti dell’altro sesso.

Tipicamente essa si manifesta in ammonimenti verbali che sostanziano offese, denigrazioni e vessazioni, più o meno celate, attraverso le quali si svilisce la vittima, annullandone la psiche. Talora sentimenti di gelosia, l’indugio perdurante in forme di ossessività e controllo diventano un corollario imprescindibile nella quotidiana violenza, confuso, il più delle volte, dalla vittima inconsapevole, come mera manifestazione di affetto più appassionato.

La distorsione cognitiva dunque è subito dietro l’angolo e conduce la vittima medesima ad aberranti convinzioni.

La violenza psicologica può altresì tradursi in minacce, effettive o potenziali, con chiaro intento ricattatorio. In tal caso si disvela con indici più evidenti e meno “inapparenti“.

Effetto naturale delle summenzionate condotte è, in ogni caso, la privazione della libertà in capo alla vittima, di un costante stato di ansia e di inazione ingenerato dal timore delle ripercussioni e dalla completa abnegazione di sé conseguente alla manipolazione del carnefice.

La vittima – ne consegue – entrerà un vizioso circolo di dipendenza e auto-colpevolizzazione.

Statisticamente gli abusi psicologici vengono tollerati per lungo tempo, fin quando la vittima, divenuta completamente inerme a causa del malessere psichico ed emotivo, non trovi la forza interiore per chiedere assistenza, uscendo dalla dinamica relazionale, familiare, sociale o lavorativa, alcova dell’abuso psicologico.

È chiaro che questa, tuttavia, non è sempre la strada intrapresa dalle vittime; talora si assiste ad esiti ben più nefasti.

Alcuni esempi odierni di violenza psicologica possono riguardare il cosiddetto gaslighting, una forma di manipolazione che induce la vittima a mutare la percezione della realtà e minandone la capacità
decisionale attraverso l’arte del convincimento del carnefice.

Altri comportamenti che denotano nuovi fenomeni relazionali disfunzionali sono poi l’orbiting e il breadcrambing.

In una società ove i rapporti interpersonali sono sempre più intessuti nella matassa dei social media, l’orbiting consiste nel manipolare, via social, la vittima, mostrando un apparente interesse veicolato dalle interazioni online ed intermittente, lasciando la vittima in una posizione volutamente precaria e che, nei casi, di soggetti particolarmente vulnerabili, potrebbe ingenerare una qual forma di violenza.

Con breadcrambing si intende, la condotta di coloro i quali intraprendono una relazione interpersonale al sol fine di trarre vantaggio dal coinvolgimento e dall’affezione della vittima per tornaconto personale, imponendo sì le proprie “regole di condotta” certi della posizione di “superiorità” nel rapporto.

Ciò può portare la vittima, sentimentalmente o socialmente soggiogata, a manifestare stati di ansia, stress e malessere emotivo.

La giurisprudenza

Alla luce di quanto evidenziato, sorgerebbe spontaneo un quesito: in presenza di uno scenario così diversificato ove non è sempre ed immediatamente possibile “intercettare” una condotta sicologicamente abusante, come dovrebbe intervenirsi e quali strumenti sarebbero atti a reprimere simili condotte?

Orbene, la violenza psicologica è astrattamente configurabile quale ipotesi di reato solo laddove sia possibile ricondurla, non essendo tipicizzata, nell’alveo di condotte già penalmente rilevanti per il legislatore.

È, pertanto, possibile reprimere atti vessatori, offensivi e denigratori nell’ambito dei reati ex art. 572 c.p., purché questi abbiano carattere di abitualità e reiterazione ed avvengano in un contesto di stabile convivenza della vittima con il reo.

Secondo costante giurisprudenza, difatti, nella species facti rientrano non solamente le percosse e le lesioni bensì parimenti tutte quelle condotte dirette a procurare sofferenza morale e psicologica essendo
inammissibile l’interpretazione limitativa e ridimensionante, di confinare il reato di cui all’art. 572 cod.pen. ai soli casi in cui vi siano continuative forme di violenza fisica, omettendo del tutto la valutazione di forme ancora più pregnanti, ma meno visibili, come la violenza psicologica o economica” (ex plurimis, Cass. Pen. n. 19847/2022).

Ancora, la Corte EDU si è espressa in materia argomentando come “un maltrattamento deve raggiungere un livello minimo di gravità […]. Un maltrattamento che raggiunge tale soglia minima di gravità implica, in generale, lesioni al corpo o forti sofferenze fisiche o psicologiche. Tuttavia, anche in assenza di sevizie di questo tipo, nel momento in cui il trattamento umilia o svilisce un individuo, dando prova di mancanza di rispetto per la sua dignità umana o sminuendola, o suscita nell’interessato sentimenti di paura, angoscia o inferiorità tali da annientare la sua resistenza morale e fisica, questo trattamento può essere qualificato degradante e rientrare così nel divieto di cui all’articolo 3” (Bouyid c. Belgio [GC], n. 23380/2009, §§ 86-87, CEDU 2015).

Bisogna, purtuttavia, non omettere il principio di tipicità che permea il diritto penale ed, in tal senso, la Corte di Cassazione ha chiarificato come “il fatto che la persona offesa sia totalmente succube del soggetto maltrattante può rilevare, ma solo in senso dimostrativo dell’intensità e dell’effetto conseguente al reato, ma non può attribuirsi a tale condizione soggettiva il ruolo di elemento costitutivo del reato […] ove si ritenesse che i maltrattamenti integrino il reato di cui all’art. 572 cod. pen. solo in presenza della soggettiva percezione della loro offensività, […], si farebbe dipendere la configurabilità del reato da un elemento estraneo alla condotta dell’agente e ricollegato alla maggiore o minore sensibilità e capacità di resistenza della persona offesa”.

Alla luce di quanto pronunciato, ciò che rileva è una persistente azione vessatoria idonea a ledere la personalità della vittima e la consapevolezza dell’agente di persistere in una tale condotta idonea a ledere la personalità della vittima e la sua dignità.

Manipolazione e plagio: auspicabile tipizzazione della condotta

Giova quivi evidenziare, ius vigens, la difficoltà di assicurare una puntuale tutela alla vittima di violenza psicologica laddove le condotte poste in essere esulino dallo schema normato della relazione stabile.

Altrettanto ostica è la possibilità di avvalersi, ai fini della repressione delle summenzionate condotte della fattispecie degli atti persecutori poiché, si permetta di reputarla, come eccessivamente incasellata nei suoi parametri tipicizzati, seppur a tutela del principio di legalità e del “favor rei”.

Per tali ragioni, si è tornati a parlare dell’abrogato ed incostituzionale reato di plagio.

La Corte Costituzionale aveva, in tal senso, evidenziato come sia “estremamente difficile se non impossibile individuare sul piano pratico e distinguere a fini di conseguenze giuridiche […] l’attività psichica di persuasione da quella anche essa psichica di suggestione”.

In particolare, ”l’accertamento se l’attività psichica possa essere qualificata come persuasione o suggestione con gli eventuali effetti giuridici a questa connessi, nel caso del plagio non potrà che essere del tutto incerto e affidato all’arbitrio del giudice. Infatti in applicazione dell’art. 603 qualunque normale rapporto sia amoroso, sia di professione religiosa, sia di partecipazione a movimenti ideologici, sia di altra natura, se sorretto da un’aderenza ‘cieca e totale’ di un soggetto ad un altro soggetto e sia considerato socialmente deviante, potrebbe essere perseguito penalmente come plagio”.

Le considerazioni della Corte Costituzionale, in tema di plagio, mettono ben in evidenza, orbene, come le reazioni e le percezioni siano necessariamente personali e, pertanto, insuscettibili di una oggettiva valutazione idonea a configurare la perseguibilità del reato.

Si argomenti, de facto, come la configurabilità del plagio richieda una pressione mentale ed il convincimento altrui, pilastri dai confini definitori incerti; differentemente, invero, la violenza psicologica si riconduce ad un novero eterogeneo di criteri, da poter afferire ad una “sintomatologia” dai contorni inquadrati.

Condizioni di stress, ansia, svilimento, mancanza di autostima, finanche ad episodi depressivi vengono identificati dagli esperti in psicologia e psichiatria quali elementi ridondanti nello studio di pazienti vittime di violenza psicologica.

Il facere manipolatorio in seno ad un individuo sottintende la volontà, con intento tipicamente egoistico, di raggiungere i propri scopi od interessi ed assecondare le proprie necessità esercitando la propria influenza dominante sull’altro in maniera ingannevole, condizionandone credenze e percezioni.

Un atteggiamento che spesso trova riscontro nelle personalità di tipo narcisistico, istrionico o antisociale. Manipolazione psicologica ad oggi certamente di rilievo, non solo nei rapporti sentimentali-affettivi, ma parimenti quando si analizzino realtà settarie, gruppi che manipolano gli adepti, i quali solo con sforzi significativi riescono ad uscirne e, talora a distanza di anni, parlarne ingenera in loro un forte senso di vergogna nonché la paura di possibili ritorsioni.

Raccontano di come la loro vita e la loro mente sia stata totalmente soggiogata giorno dopo giorno, dell’impossibilità a sganciarsi anche a causa delle minacce che spesse volte si accompagnano a richieste di sudditanza totale, dovendo persino interrompere i rapporti con familiari e amici.

Strumenti di prevenzione alla luce delle attuali innovazioni tecnologiche

Evidenziate le difficoltà di un inquadramento normativo delle condotte di cui sopra, parrebbe opportuno indi riportare casi pratici di iniziative volte ad aiutare le vittime di violenza psicologica avvalendosi di mezzi concreti e di pronta operatività che denotano l’importanza che la tutela legislativa vi attribuisce oggigiorno, ancorché non organica ed esaustiva.

Innanzitutto, merita menzione l’introduzione, a cura della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per le Pari Opportunità, del numero telefonico, gratuito ed attivo h24, “antiviolenza ed antistalking 1522”, ove operatrici specializzate curano le richieste di aiuto e sostegno delle vittime di siffatti delitti.

Altresì, di recente sono state sviluppati applicativi di pronto intervento per chi si trova in situazioni di imminente pericolo, permettendo di mandare un allarme in tempo reale.

Safee”, ad esempio, è una custodia per cellulare che nasconde un dispositivo antiaggressione attivabile in meno di 3 secondi e che offre fino a cinque funzioni di autodifesa.

Save the woman, associazione di promozione sociale nata nel 2020, ha sviluppato un applicativo per individuare un profilo di rischio violenza sulle donne attraverso le risposte ad un questionario sviluppato da un team di esperti.

Due sono i progetti in corso, curati dall’associazione e basati sulle innovation technologies: il test save the woman (ut supra) e il chat-bot nonpossoparlare.

Donne x strada, associazione no-profit per la sicurezza in strada e contro la violenza di genere, fra i vari programmi implementati, ha ideato “Safe Taxi”, un taxi di riferimento nel territorio, che ha la sensibilità e gli strumenti per accogliere la persona nelle diverse situazioni di difficoltà.

L’associazione sostiene inoltre il servizio di video-accompagnamento internazionale @violawalkhome offerto da V. Srl, start-up a vocazione sociale presieduta dalla creatrice dell’associazione Laura De Dilectis, che si propone di utilizzare sempre più la tecnologia al servizio della sicurezza delle persone, supportandola in via preventiva e durante le criticità.

E ancora, l’applicativo “Wher” che permette alle donne di sentirsi più sicure, mappando le principali città italiane. Basato su una community femminile che condivide recensioni sulle strade cittadine, segnala i servizi a misura di donna.

Ivi sono le stesse cittadine a recensire le piazze e le strade che frequentano in base al grado di sicurezza percepito, la presenza od assenza di illuminazione, affollamento della via, ecc.

Infine, si menzioni @scriviquandoseiacasa, progetto che consente alle donne di entrare nel gruppo whatsapp così intitolato e di poter comunicare, in real time, eventuali situazioni di pericolo quando si è per strada.

Conclusioni

Le considerazioni finali, alla luce di quanto sopra riportato, accompagnano la non univoca convinzione che numerosi interventi legislativi ed extra-giuridici sono stati promossi dall’ordinamento italiano al fine di tutelare le vittime di violenza di genere e psicologica; dalla normazione in materia alle forme di ausilio e supporto offerti dal progresso tecnologico, dall’attenzione e dal coinvolgimento alla partecipazione oggigiorno quanto mai vivi nel cuore della collettività ed altresì confermati dal susseguirsi di eventi finalizzati alla sensibilizzazione ed informazione propriamente sul tema della manipolazione e della violenza psicologica, tanto silenziosa quanto lesiva.

Si permetta, in ultima battuta, di rimarcare un punto di rilievo.

In estrema sintesi, ciò che, auspicabilmente, potrebbe fare la differenza nel futuro prossimo è l’educazione delle nuove generazioni.

Educare all’ascolto, di sé stessi e degli altri. Introdurre e diffondere una grammatica dell’educazione socio-affettiva. Creare veicoli culturali di empatia, rispetto altrui e autostima. Sensibilizzare gli adulti a formare, in tale alveo, gli adulti del domani.

Facebook
Twitter
LinkedIn
WhatsApp
Email

Articoli correlati

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *