Sommario
Premessa
Il presente contributo vuole offrire una panoramica degli approdi giurisprudenziali in tema di rapporti tra la confisca (intesa quale misura di sicurezza) e le cause estintive del reato, in specie la prescrizione, per sondare entro quali limiti detta confisca è stata ritenuta ammissibile anche in presenza di cause estintive, esaminando infine i profili critici delle argomentazioni e conclusioni giurisprudenziali.
Occorre innanzitutto premettere che, nonostante lo stesso nomen juris, nel nostro ordinamento sono previste diverse nozioni di confisca, distinguendosi tra confisca quale misura di sicurezza, confisca quale sanzione (tra le quali rientra la cosiddetta “confisca per equivalente”) e confisca quale misura di prevenzione.
La confisca quale misura di sicurezza è regolata dagli artt. 236-240 codice penale, presenti fin dalla prima emanazione del codice e ricalcanti in parte previsioni già presenti nel codice Zanardelli.
La ratio di detta misura di sicurezza risiede nella pericolosità del legame tra la res confiscabile e la commissione di un reato; detta pericolosità è in taluni casi presunta (casi di confisca obbligatoria), mentre in altri deve essere in concreto accertata dal giudice (confisca facoltativa).
Alla “classica” confisca di sicurezza si è aggiunta poi l’ipotesi ad oggi regolata dall’art. 240-bis, comma 1, codice penale (ex art. 12-sexies D.L. n. 306/1992), che regola la cosiddetta confisca “allargata” o “per sproporzione”.
Detta misura, seppur abbia ad oggetto beni che non sono precipuamente legati da un nesso di pertinenzialità con il reato, pacificamente viene ricompresa tra le misure di sicurezza, poiché ha ad oggetto le ricchezze accumulate illecitamente da soggetti condannati per i cosiddetti “reati spia”, ritenuti di particolare pericolosità sociale, e pertanto sono da ricollegare alla presumibile continuità di azione criminosa e livello di pericolosità espresso da tali soggetti (da ultimo, si veda, sul punto, la sentenza a SS.UU. n. 27421/2021).
La normativa
Il codice penale, come regola generale per le misure di sicurezza, prevede all’art. 210, comma 1, codice penale, che le stesse non possano essere né applicate né eseguite in presenza di cause di estinzione del reato. Tuttavia, per la confisca subentra il secondo comma dell’art. 236 codice penale, il quale a sua volta prevede che l’art. 210 codice penale non si applica alla confisca, con la conseguenza che la stessa, astrattamente, può disporsi anche in presenza di cause estintive.
La giurisprudenza si è interrogata allora sulla portata applicativa di detta norma, se sia cioè applicabile alle sole ipotesi espressamente previste di confisca “senza condanna” (come quella di cui al n.2 del secondo comma dell’art. 240 codice penale), o se possa essere estesa anche agli altri casi, qualora la causa estintiva maturi dopo la condanna (in primo o secondo grado) o comunque dopo l’accertamento sostanziale della responsabilità dell’autore.
I primi approdi giurisprudenziali: le decisioni Carlea e De Maio a Sezioni Unite
La prima significativa pronuncia delle Sezioni Unite sul punto è stata la sentenza Carlea n. 5 del 25 marzo 1993, che verteva sulla possibilità di disporre la confisca di cui all’art. 722 codice penale nel caso che il reato presupposto fosse estinto per amnistia.
La Corte, in tale pronuncia, ha affermato che il disposto di cui all’art. 236 codice penale va contemperato con la specifica disciplina prevista per il tipo di confisca, di talché ove la norma richieda una condanna (come nel caso di specie), la causa estintiva, anche sopravvenuta all’accertamento della responsabilità, ne impedisce l’applicazione e l’esecuzione. La condanna è da infatti ritenersi, in assenza di contraria disposizione, solo quella definitiva
Questione simile ma parzialmente diversa è stata posta all’attenzione delle Sezioni Unite nel 2008, con la sentenza De Maio n. 38834 del 10 luglio 2008.
In tal caso, si verteva sull’ipotesi di confisca obbligatoria di cui al n. 1 del secondo comma dell’art. 240 codice penale (in cui si prevede che la confisca è “sempre” ordinata), nella specie del prezzo del reato di corruzione. La Suprema Corte ha ribadito i principi delle precedenti SS.UU. Carlea, ed ha aggiunto che anche detto tipo di confisca richiede la condanna definitiva, perché l’espressione “sempre” serve solo a distinguerla dalle ipotesi di confisca facoltativa e non ad eliminare il requisito richiesto dal primo comma della pronuncia di una sentenza di condanna, da intendersi anche qui, in assenza di contraria disposizione, quale condanna definitiva (tanto è che per l’ipotesi di cui al n. 2 dello stesso comma la legge espressamente esonera da tale requisito).
Tuttavia, le Sezioni Unite, in tal caso, recependo osservazioni già formulate in precedenza da alcune pronunce a sezione semplice, hanno osservato le criticità che derivavano da una lacuna legislativa, poiché veniva consentito al soggetto prosciolto per motivi di rito (di cui però fosse accertata dal punto di vista sostanziale la responsabilità) una perdurante disponibilità di beni frutto del reato.
È stato inoltre sottolineato che un potere del giudice di accertamento della responsabilità, anche in presenza di cause estintive, non era affatto incompatibile con i principi ordinamentali, ed a sostegno sono stati citati gli artt. 425, comma 4, e 578 codice penale, così come la sentenza n. 85/2008 della Corte Costituzionale (la quale aveva sancito che non tutte le sentenze di proscioglimento sono totalmente liberatorie, essendovi ricomprese anche quelle che comprendono un sostanziale accertamento della responsabilità).
Anche per tali motivi, negli anni successivi, in sede di merito ed in alcune pronunce di legittimità a sezione semplice, emergevano diverse pronunce che, discostandosi da tale orientamento, riconoscevano la possibilità di disporre la confisca prevista dal n. 1 del secondo comma dell’art. 240 codice penale in caso di estinzione del reato, argomentando che, seppur dovesse ritenersi sussistente il requisito della condanna, detto requisito andava interpretato in senso sostanziale e non formale, ossia come sinonimo di accertamento della responsabilità dell’imputato (si veda dapprima Cass. Sez. I n. 2453/2008 e poi Cass. Sez. II n. 32273/2010 e Cass. Sez. II n. 39756/2011).
La compatibilità di dette conclusioni anche con il diritto sovranazionale (in particolare la CEDU) veniva ribadita dalla sentenza Varvara contro Italia della Corte EDU del 2013 e dalla decisione n. 49/2015 della Corte Costituzionale, che sottolineavano la compatibilità costituzionale e con la CEDU delle ipotesi legislativamente previste di confisca “senza condanna”, anche nei casi in cui la confisca avesse natura sanzionatoria, quale quella di cui all’art. 44, comma 2, del D.P.R. n. 380/2001, facendo leva appunto sulla nozione sostanziale e non formale di tale termine.
La sentenza Lucci a Sezioni Unite
Sorgeva quindi un contrasto giurisprudenziale sul punto, che veniva risolto dalle Sezioni Unite, con la sentenza n. 31617/2015, cosiddetta Lucci, in cui la questione veniva posta non solo con riferimento al numero 1 del secondo comma dell’art. 240 codice penale, ma anche all’ipotesi di cui all’art. 322-ter codice penale, che impone “sempre” la confisca obbligatoria del prezzo e del profitto del reato in relazione ai reati ivi indicati.
Con tale pronuncia, la Suprema Corte, mutando il precedente orientamento, ha sostenuto che, in tali casi la confisca rimane valida ed efficace, purché, anteriormente alla causa estintiva, sia stata pronunciata sentenza di condanna (in primo o secondo grado), e purché l’accertamento relativo alla sussistenza del reato, alla penale responsabilità dell’imputato e alla qualificazione del bene da confiscare come prezzo o profitto rimangano inalterati.
Per giungere a detta decisione, le Sezioni Unite hanno evidenziato che, seppur in tali ipotesi vi debba essere la condanna, occorre far riferimento, compatibilmente con gli approdi della Corte EDU e della Corte Costituzionale, alla nozione sostanziale e non formale della stessa.
Il dato formale non può però essere totalmente trascurato (altrimenti la confisca sarebbe degradata ad un’azione in res e peraltro sarebbe stata indistinguibile dalle ipotesi di confisca “senza condanna”), di talché rimane necessaria una pronuncia di condanna prima della maturazione della causa estintiva, ma detta condanna non deve obbligatoriamente diventare definitiva, purché gli accertamenti di cui sopra rimangano invariati.
Nella sentenza si è sottolineato, a supporto di tale tesi, l’obbligatorietà della confisca in tale ipotesi, e la sua natura di mera misura di sicurezza, finalizzata a eliminare l’illecito vantaggio patrimoniale ottenuto con la commissione del reato.
Le Sezioni Unite hanno osservato inoltre gli effetti paradossali che sarebbero derivati dalla opposta soluzione, per cui vi erano ipotesi di confisca “senza condanna” quale sanzione (come quella di cui all’art. 44, comma 2, D.P.R. n. 380/2001) che rimanevano salve anche in caso di estinzione del reato, ma non sarebbero state tali le ipotesi di confisca obbligatoria come misura di sicurezza, in cui vi è necessità ancora maggiore dell’ablazione dei beni pericolosi.
La Suprema Corte ci teneva comunque a precisare che, con riferimento all’art. 322-ter codice penale, dette conclusioni si applicavano alla sola confisca diretta e non a quella “per equivalente” prevista dalla stessa norma, la quale, per la sua natura sanzionatoria ed essendo legata ad una condanna, soccombeva di fronte alla causa estintiva.
Detta pronuncia, se da un canto sembrava aver risolto, in modo evolutivo, una dibattuta questione, dall’altro lasciava una certa ambiguità sull’estendibilità di detti principi alle altre ipotesi di confisca quale misura di sicurezza, eventualmente anche in caso di confisca facoltativa.
Riguardo il primo aspetto, le successive decisioni della Suprema Corte, basandosi sulle considerazioni delle Sezioni Unite, hanno ritenuto che detti principi fossero estendibili a tutte le ipotesi di confisca obbligatoria (non solo quindi quella del prezzo del reato e del profitto del reato di cui all’art. 322-ter codice penale, ma anche gli altri casi previsti da norme speciali, quali l’art. 12-bis del D. Lgs. N. 74/2000, limitatamente alla confisca diretta, o la confisca per sproporzione).
In particolare, si è evidenziato che le conclusioni a cui la Suprema Corte era giunta facessero leva proprio sulla natura obbligatoria della confisca e sulla tipologia di beni confiscabili (per cui vi è presunzione di pericolosità), ragion per cui non vi era motivo di escluderne dall’applicazione analoghi istituti previsti da leggi speciali (ex multis Cass. Sez. V n. 1012/2018, occupandosi del vecchio articolo 12-sexies D.L. 306/1992, ora art. 240-bis codice penale, prima che fosse entrato in vigore il nuovo articolo 578-bis codice penale).
Più problematica è stata la questione relativa alla confisca facoltativa prevista dall’art. 240, comma 1, codice penale.
La sentenza Cipriani a Sezioni Unite ed il nuovo art. 578-bis codice penale
A dipanare la questione sono intervenute le Sezioni Unite, con la pronuncia n. 52/2021 (cosiddetta Cipriani), fornendo risposta negativa.
In particolare, la Suprema Corte ha evidenziato, come argomento cardine, la salvaguardia del principio di legalità, poiché la confisca in detta ipotesi richiede espressamente una sentenza di condanna, da intendersi quale condanna definitiva.
Infatti, salvo contraria disposizione, la sentenza di condanna a cui fa riferimento il legislatore va interpretata quale condanna definitiva, la sola idonea a cristallizzare stabilmente l’accertamento della penale responsabilità.
Una deroga a tali principi era stata posta dalle precedenti Sezioni Unite con un chiaro riferimento alle sole ipotesi di confisca obbligatoria.
Unicamente in tali casi, infatti, alla luce del detto contesto ordinamentale e della peculiare natura della confisca stessa, la nozione di condanna assume un diverso significato, ma ciò non è suscettibile – in virtù del principio di legalità – di un’interpretazione estensiva.
A sostegno della tesi, le Sezioni Unite hanno evidenziato poi due argomentazioni. Innanzitutto, non essendo la confisca facoltativa assistita dalla presunzione (assoluta) di pericolosità, il giudice deve effettuare delle valutazioni che sono necessariamente collegate alla punizione del colpevole, che divengono impossibili in caso di estinzione del reato.
In secondo luogo, si è fatto riferimento all’introduzione del nuovo articolo 578-bis codice penale ad opera del D.Lgs. n. 21/2018 che ha espressamente previsto che, nei casi di confisca in casi particolari prevista dal primo comma dell’art. 240-bis codice penale o da altre disposizioni di legge e nei casi di confisca di cui all’art. 322-ter codice penale (ipotesi quest’ultima aggiunta dalla Legge n. 3/2019), il giudice di appello e la Cassazione, nel pronunciare estinzione del reato per prescrizione o amnistia, decidono sull’impugnazione ai soli effetti della confisca, previo accertamento della penale responsabilità dell’imputato.
Con l’introduzione di tale norma, il legislatore da un lato ha voluto recepire in parte gli approdi giurisprudenziali (con riferimento alle ipotesi di confisca obbligatoria come misura di sicurezza) ma dall’altro, con una tecnica redazionale improntata al criterio della specialità, ha inteso evitare che si formasse un principio generale di salvezza della confisca in caso di estinzione del reato.
A ciò si aggiunga la considerazione per cui l’avvertita necessità di prevedere espressamente l’obbligo per il giudice dell’impugnazione di statuire sulla confisca evidenzia l’insufficienza della sola sentenza di condanna in primo grado a conservarne gli effetti come regola generale.
Il nuovo art. 578-bis codice penale è stato poi oggetto della pronuncia delle Sezioni Unite, nella pronuncia n. 4145/2023, la quale, nel sancire (prevedibilmente) che detta disposizione non può applicarsi retroattivamente (cioè per i reati commessi prima della sua introduzione) limitatamente alle ipotesi di confisca per equivalente (data la sua natura sanzionatoria), ha confermato che, nei casi di confisca diretta, ove si applica la legge vigente al momento dell’applicazione (vedasi l’art. 200, comma 1, codice penale, richiamato dall’art. 236 codice penale), detta efficacia retroattiva è consentita (tale regola è stata di recente ribadita da Cass. n. 213/2024 in merito alla confisca per sproporzione estesa dalla recente riforma anche al quinto comma dell’art. 73 D.P.R. n. 309/1990).
Nella stessa sentenza inoltre la Suprema Corte, nella sua più autorevole composizione, ha inoltre ribadito che il termine “confisca in casi particolari” si riferisce a tutte le ipotesi extracodicistiche di confisca.
Senonché, in sede conclusiva, le Sezioni Unite inspiegabilmente, decidendo sul caso in esame, hanno annullato senza rinvio la sentenza impugnata (essendo il reato estinto per prescrizione), eliminando in toto la confisca, senza però avvedersi che la sentenza impugnata aveva disposto la confisca diretta anche di denaro liquido.
Tale conclusione appare però frutto di mera svista, tanto che nelle successive sentenze la Suprema Corte ha sempre tenuto ferme le statuizioni relative alla confisca diretta, seppur di fronte a reato prescritto (si veda ex multis Cass. Sez. II n. 17354/2023).
Conclusioni e note critiche
Dall’analisi compiuta, possono dirsi saldamente recepiti in sede giurisprudenziale i seguenti principi di diritto:
a) ove la normativa prevede la confisca senza condanna (come al n. 2 del secondo comma dell’art. 240 codice penale) è sufficiente l’accertamento della sussistenza oggettiva di una fattispecie di reato e del suo legame con la res confiscata, pur se la causa estintiva si verifica nel primo grado di giudizio e se l’autore è ignoto o non punibile per qualsiasi causa;
b) ove è richiesta la condanna, nelle sole ipotesi di confisca obbligatoria come misura di sicurezza è sufficiente che la condanna sia avvenuta nel primo grado di giudizio, purché rimanga inalterato l’accertamento relativo alla commissione del reato, alla responsabilità dell’autore ed alla qualificazione della res come bene assoggettato a confisca;
c) nei casi di confisca facoltativa di cui all’art. 240 codice penale è necessaria una sentenza di condanna definitiva;
d) in base al disposto del nuovo articolo 578-bis codice penale, nei casi di confisca in casi particolari prevista dall’art. 240-bis e da altre disposizioni di legge e di confisca ai sensi dell’art. 322-ter codice penale, il giudice di appello o di Cassazione, nel dichiarare il reato estinto per prescrizione o amnistia, devono sempre decidere sull’impugnazione ai soli effetti della confisca, previo accertamento della responsabilità dell’imputato; detta norma, per quanto concerne la confisca diretta, trova applicazione anche per i reati commessi prima della sua introduzione, sia in virtù del disposto di cui all’art. 200, comma 1, codice penale sia perché non è innovativa bensì recettiva degli approdi giurisprudenziali.
Se le conclusioni appaiono chiare e risolutive di lunghi dibattiti, il processo logico-giuridico utilizzato dalle decisioni Lucci e Cipriani, rese a Sezioni Unite, appare però discutibile sotto alcuni profili.
La Suprema Corte, dopo aver speso lunghe argomentazioni nel motivare, con la sentenza Lucci, le ragioni per cui la nozione di condanna non vada riferita alla sentenza definitiva (senza che ciò comporti una violazione del principio di legalità), con la successiva sentenza Cipriani, si è di fatto discostata da tale principio, statuendo che la nozione di condanna, salva diversa disposizione, si riferisce alla condanna definitiva, pena la violazione del principio di legalità.
Nel motivare ciò, la Cassazione ha effettuato le sopra citate considerazioni a proposito della presunzione di pericolosità che assiste la confisca obbligatoria, della ratio della norma, che mira ad eliminare il pretium sceleris (o comunque un bene presuntivamente pericoloso) e del contesto ordinamentale.
Dette considerazioni non appaiono però risolutive.
Il paragone con la confisca di cui all’art. 44, comma 2, D.P.R. n. 380/2001 non è calzante, poiché, sebbene detta confisca ha natura di sanzione, il legislatore ha espressamente previsto (in un caso molto particolare) la sua applicabilità senza una pronuncia di condanna, differentemente dalle ipotesi di cui all’art. 240, comma 2 n. 1, codice penale, 322-ter codice penale e dalle altre previste da disposizioni extracodicistiche.
Non si verrebbe pertanto a creare alcuna paradossale incongruenza, tanto che (salvo quanto previsto dal nuovo articolo 578-bis codice penale, con efficacia non retroattiva) le ipotesi di confisca sanzionatoria che prevedono la condanna sono state sempre ritenute soccombenti alle cause estintive.
Non sembrano convincenti nemmeno le argomentazioni in ordine alla presunzione di pericolosità che assiste la confisca obbligatoria perché, una volta che si ritenga possibile un accertamento della responsabilità in presenza di cause estintive, lo stesso ben può riguardare anche la valutazione sulla pericolosità della res; peraltro, in assenza di punizione del colpevole, sarebbe ancora maggiore detta esigenza.
Infine, non sembra reggere nemmeno il riferimento alla formulazione del nuovo articolo 578-bis codice penale, poiché, se la ratio di tale formulazione fosse quella di evitare la formazione di principi generali e di stabilire l’inidoneità della condanna non definitiva a stabilizzare la confisca, non si comprende (se non in base alle sopra elencate e discutibili argomentazioni sistematiche) perché in caso di confisca obbligatoria (quale misura di sicurezza) si dovrebbe argomentare diversamente.
Il processo argomentativo appare pertanto opinabile ed anche in potenziale frizione con il principio di legalità, visto che opera una distinzione non prevista legislativamente tra la confisca obbligatoria e facoltativa in base a complesse considerazioni sistematiche che possono sollevare qualche perplessità nell’ambito del diritto penale, che dovrebbe improntarsi a principi di chiarezza.
Senza voler sostituirsi al legislatore e senza pretese di completezza, si fa notare che la distinzione avrebbe potuto ben più semplicemente essere mantenuta facendo riferimento all’avverbio “sempre” che assiste le ipotesi di confisca obbligatoria oggetto di analisi.
Contrariamente a quanto argomentato dalle Sezioni Unite, nelle sentenze Carlea e De Maio, detto avverbio non sembra solamente voler sancire la natura obbligatoria della confisca, poiché tale natura obbligatoria è già insita nella formulazione imperativa “è disposta… la confisca” (in luogo di quella “il giudice può disporre la confisca” nei casi di facoltatività).
Pertanto, anche in base al principio ermeneutico per cui è sempre preferibile attribuire alle parole un significato autonomo, l’avverbio “sempre” può ben essere interpretato nel senso di voler mantenere la confisca anche in presenza di cause estintive sopravvenute alla sentenza di condanna, previo accertamento della responsabilità dell’imputato, del nesso pertinenziale con la res e della qualificazione come soggetta a confisca della res confiscata.
Detta argomentazione avrebbe inoltre il pregio di bilanciare le esigenze di tutela special-preventive con quelle di chiarezza ed accessibilità del dettame normativo.
Dott. Francesco M. Vincenzoni