Intelligenza Artificiale e deumanizzazione: falso problema

Introduzione

Il mondo dell’Intelligenza Artificiale (IA) si fa sempre più concreto anche se fortemente avversato da scettici e tradizionalisti. Al centro del dibattito vi è l’impossibilità di accettare la sostituzione dell’uomo con la “macchina”. Lo slogan di chi si schiera contro l’impiego dei dispositivi e metodi di IA, nelle attività pensate per essere condotte solo dall’uomo, è il “no alla deumanizzazione”.

Con il presente contributo, effettuando un’incursione nel contesto dell’azione amministrativa, si cercherà di gettare le basi per disinnescare questo falso problema, generato, per la maggior parte dei casi, da retaggi di matrice culturale.

La semplificazione

    Quello della semplificazione non è più solo uno degli obiettivi da raggiungere per rendere l’azione amministrativa più efficiente, ma rappresenta essa stessa una scelta di politica pubblica.

    A differenza dei Paesi anglo-americani, quelli meridionali ed, in particolare, l’Italia sono stati caratterizzati dall’accentramento delle competenze e delle funzioni, con una struttura fortemente burocratica, deputata alla stretta osservanza della legge e pertanto a vocazione francamente formalistica.

    L’evoluzione delle strutture organizzative e dei procedimenti amministrativi verso lo snellimento è stata determinata, da una parte, dalla diffusione del “metodo razionale” di cui il New Public Management rappresenta la massima espressione.

    Dall’altra, è effetto anche della profonda crisi che ha riguardato l’intero settore amministrativo, con particolare riferimento ai costi eccessivi sostenuti, rapportati agli scarsi risultati ottenuti in termini di obiettivi di interesse pubblico (inefficienza).

    La trasposizione delle logiche economiche all’interno della P.A., dapprima come principi (si pensi al buon andamento) e successivamente come metodi dell’agire pubblico (in questo senso rilevano la conferenza dei servizi, lo sportello unico, l’utilizzo dell’istituto privatistico del contratto, l’informatizzazione), ne ha profondamente mutato l’animus. Oggi la P.A. si presenta più articolata e flessibile.

    Dagli anni ’90 in poi, infatti, si è assistito ad una vera e propria rivoluzione delle strutture istituzionali ed organizzative, da un lato, e delle metodologie procedimentali, dall’altro.

    Nel primo senso, basti riflettere sull’attuazione della amministrazione “decentrata”, a cui hanno fatto seguito la rivalutazione e la valorizzazione degli enti locali e degli enti intermedi a livello istituzionale (artt. 114, 117 Cost.). A ciò si aggiunga il coinvolgimento dei privati nell’agire pubblico a livello di policy (art. 118 Cost.), a cui ha fatto seguito la dismissione dei servizi in favore della gestione privata (tramutazione dallo Stato gestore allo Stato regolatore).

    La privatizzazione, ancora prima della liberalizzazione, costituisce la prima risposta concreta in senso normativo rispetto all’esigenza di introdurre le logiche del mercato nell’agire pubblicistico.

    In entrambi i casi, ma con dimensioni differenti, la P.A. ha adottato una politica di arretramento al fine di garantire il contenimento della spesa pubblica e al contempo l’espletamento dei servizi con l’intento di raggiungere un livello di soddisfazione competitivo.

    Passando all’ambito oggettivo, viene in rilievo la semplificazione. Con essa si intende, in primo luogo, l’abbattimento dei tempi dell’agire amministrativo attraverso lo snellimento delle procedure legali e tecnico-amministrative (celerità) e, in secondo luogo, l’apprendimento di un metodo generale d’azione, in grado di orientare l’agire stesso al raggiungimento degli obiettivi pubblici con il miglior rapporto costo-qualità (efficienza)

    La semplificazione, pertanto, si erge a strumento dell’agire efficiente della P.A. in termini di contenimento dei costi ma, soprattutto in termini di abbattimento dei cosiddetti “tempi morti” (in perfetta sintonia con le logiche manageriali).

    Senza addentrarsi ulteriormente nella questione del tempo e del suo valore, anche con riferimento alle spinte europeiste in tal senso, basti focalizzare l’attenzione sullo stesso in ottica finalistica.

    Ai fini del presente contributo, infatti, concentrarsi sul dibattito ermeneutico legato alla valenza giuridica del fattore tempo (come bene della vita o come requisito procedimentale) è fuorviante. Come anticipato, ciò che rileva è il tempo procedimentale rappresentato come costo da contenere al fine di rendere l’azione amministrativa più efficiente senza minare la legalità.

    Intelligenza artificiale e deumanizzazione: falso problema

      Prima di capire come l’Intelligenza Artificiale possa fungere da strumento di semplificazione bisogna chiarire che cosa si intenda con tale termine. L’accostamento dell’intelligenza all’artificio già contiene in se l’occasione per fomentare gli animi degli scettici, in ordine al paventato pericolo della cosiddetta deumanizzazione.

      Se per certi aspetti tale pericolo può dirsi concreto, bisogna tuttavia chiarire sin da subito che l’IA non nasce per sostituire l’uomo, bensì per aiutarlo nelle scelte e nelle attività più o meno complesse, siano esse puramente di calcolo alfa-numerico, che operanti su piani diversi se pure basate sulle prime.

      Orbene, quando si parla di Intelligenza Artificiale non è l’artificio che deve attrarre l’attenzione ma, per l’appunto, la capacità computazionale dei metodi di IA, con particolare riferimento alla velocità e alla precisione dei medesimi.

      L’Intelligenza Artificiale ben può essere definita, epistemologicamente, come una scienza, dal momento che opera secondo il metodo scientifico ed essendo tale non assume un significato univoco.

      Racchiude, invero, tanti metodi che, in ragione delle caratteristiche peculiari, possono dirsi tali. Con la locuzione IA non si vuole dunque definire, ma contenere tutta una serie di strumenti e metodi che fanno applicazione della medesima.

      Il pericolo della deumanizzazione dei processi, riguardanti sia compiti organizzativi, decisori che puramente esecutivi, racchiude in sé altre tipologie di problematiche che si diversificano in base al settore di riferimento.

      A titolo esemplificativo, si rifletta sul possibile contrasto tra l’elaborazione automatica e la gestione dei cosiddetti “big data”, da una parte, e la violazione della privacy dall’altra. Oppure si consideri la relazione tra la capacità computazionale, anche in ottica predittiva, e la particolarità della situazione concreta, e quindi il margine di errore con ripercussioni sulla giustizia sostanziale, sul diritto di difesa, sulla presunzione di non colpevolezza, sul contraddittorio, sulla migliore scelta che mantenga l’equilibrio tra il raggiungimento degli obiettivi pubblici e la tutela dei soggetti interessati.

      In tale ottica, se si parte dal presupposto che l’Intelligenza Artificiale non sia sconnessa dal lavoro dell’uomo ma che anzi lo supporti durante le fasi procedimentali, l’approccio alla medesima muta sensibilmente in senso affermativo.

      Infatti, scongiurato “l’oblio dell’umanità”, le ulteriori problematiche poc’anzi evidenziate non sembrano rappresentare nulla di nuovo e di diverso rispetto al normale impiego delle risorse umane.

      Il margine di errore non ha ragione logica per essere considerato alto, nell’ambito delle scelte più delicate come quelle legate al giudizio, e prevedibile, contenibile e accettabile se riferito alle stesse attività praticate dall’uomo senza l’apporto della cosiddetta “macchina”.

      Anzi, proprio le caratteristiche intrinseche dei metodi di IA consentono di propendere per una soluzione diametralmente opposta.

      La capacità di analisi estesa sui big data, l’attitudine all’adattamento e alla selezione in base all’applicazione schematica, a sua volta fondata su similitudini, fanno sì che i metodi di IA vengano reputati, senza dubbio, maggiormente affidabili.

      Anche per quanto concerne la violazione della privacy e le problematiche legate alle esigenza di giustizia e di tutela dei diritti, non sorgono particolari problematiche che si discostino notevolmente, per novità e straordinarietà, dall’ordinario modo naturale dell’evolversi delle situazioni in assenza di applicazioni di IA.

      Per far fronte a tali pericoli, infatti, pare, senz’altro, sufficiente sia la previa regolamentazione, sia la coesistenza di una fase di controllo in cui l’uomo mantenga, comunque e ad ogni buon fine, il potere di decisione finale.

      Ecco, allora, che tutta la fomentazione nata intorno al maggior impiego delle tecniche e dei metodi di IA in ambito pubblico appare il frutto di un retaggio storico, culturale e sociale che ci rende farraginosi nei confronti del progresso tecnico-scientifico e soprattutto del connubio tra quest’ultimo e il mondo amministrativo e giudiziario.

      Basti pensare che, in Italia, le prime direttive in ordine al corretto impiego dei metodi IA sono pervenute dal lavoro ermeneutico della giurisprudenza e che risulta molto recente il primo atto legislativo di matrice europea sull’argomento.

      In ordine alla normazione specifica, in Italia, a parte qualche sporadico riferimento sparso (procedure automatizzate in ambito concorsuale), ad oggi non esiste un documento che possa disciplinarne l’impiego. Ed è chiaro che se non esiste la fase della regolamentazione, non può esistere la fase del controllo.

      Allo stato dell’arte, infatti, vi è un disegno di legge varato a seguito della promulgazione dell’A.I. Act in ambito europeo in cui si può apprezzare lo spirito progressista del legislatore ma che ancora giace nella fase della preparazione.

      Di tale disegno, colpisce, in modo particolare, il titolo dedicato all’autonomia e alla decisionalità umana. Tale riferimento pare essere la chiave di volta e di svolta per l’evoluzione dei sistemi e dei metodi di analisi, di giudizio, di esecuzione e di valutazione che hanno, da sempre, caratterizzato l’uomo, perché consente l’instaurarsi di un virtuoso connubio tra la legalità, la soggettività e l’evoluzione tecnologica.

      Si può pertanto affermare che non si presentano particolari problemi nel fare applicazione dei metodi di Intelligenza Artificiale in combinato all’apporto umano. I problemi, infatti, potrebbero sorgere solo nel caso in cui l’apporto umano venisse annichilito, fino a scomparire, ma di ciò, almeno ad oggi, non se ne è mai parlato in termini di effettività.

      Applicazioni di IA e considerazioni conclusive

        Giunti a questo punto, è ineludibile chiedersi in che modo l’IA possa efficacemente semplificare i processi e i procedimenti pubblicistici.

        In primo luogo, è essenziale pensare tenendo come punto di riferimento le caratteristiche proprie dei metodi di IA.

        Occorre soffermarsi in particolare sulla capacità computazionale, rapportandola alle procedure di inserimento e selezione di dati. Sono molte le aree in cui tale combinazione può condurre a risultati soddisfacenti in termini di abbattimento dei costi intesi in termini di tempo e di forza lavoro.

        Si pensi ai servizi di cancelleria negli uffici giudiziari (iscrizione a ruolo, acquisizione degli atti, formazione del fascicolo elettronico, assegnazione udienze, comunicazioni etc.).

        Introdurre i metodi di Intelligenza Artificiale, nel lavoro di cancelleria, apporterebbe speditezza proprio in uno dei settori che da sempre è considerato oberato dal carico delle istanze e delle procedure.

        Lo stesso ragionamento funzionale può farsi in merito a tutte le procedure amministrative che richiedono il confronto con il cittadino in termini di trasmissione di informazioni e di dati (attività di comunicazione) e la predisposizione di modelli (attività certificativa).

        A tal proposito è utile fare riferimento al modello di IA, introdotto dall’Inps, nella sezione domanda e offerta di lavoro, dove l’incrocio delle stesse è affidato alla piattaforma SIISL.

        Facendo applicazione della capacità computazionale dei metodi di IA, l’Inps ha reso più efficiente la fase di ricerca occupazionale da parte dei beneficiari dei sussidi pubblici contribuendo a migliorare non solo il rapporto disoccupazione/occupabili ma, allo stesso tempo, puntando a ridurre la spesa pubblica abbattendo i tempi standard con un abbinamento tra tipologie di offerte di lavoro e caratteristiche e qualifiche del singolo più calibrato.

        Tutto ciò a tacere dell’apporto che l’IA ha conferito durante la pandemia, sia nella fase vaccinale (analisi dei dati), sia nella fase del contenimento (contact tracing).

        E ancora, è sempre più ricorrente fare uso di tali metodi in ambito di indagini tanto da indurre a parlare di “polizia predittiva”. La capacità computazionale viene, infatti, sfruttata per associare dati di input a dati di output fornendo un notevole contributo in termini di profilazione, individuazione di tracce/prove, geolocalizzazioni, individuazione di aree sottoposte ad un particolare rischio criminogeno, et similia.

        I maggiori ostacoli, in parte dovuti a supposti problemi di natura etica, sono rinvenibili nell’applicazione dei metodi di Intelligenza Artificiale nelle fasi di scelta e decisionali in generale.

        In altre parole, vi sono molte resistenze nel concepire come possibile l’utilizzo dell’IA in compiti dove l’apporto umano è considerato indispensabile (es. attività provvedimentale della P.A., decisione giudiziaria).

        In tali contesti, rilevano, nello specifico, i cosiddetti diritti fondamentali, come la libertà personale e tutti i diritti ad essa funzionali (contraddittorio nei processi, imparzialità, presunzione di innocenza, difesa, valutazione del caso concreto).

        Sostanzialmente, dal momento che le decisioni automatizzate si basano sul meccanismo associativo tra situazioni passate e situazione da decidere nel presente, si ritiene che la “macchina” non sia in grado di valutare con ponderazione la particolare situazione giuridica del momento rischiando di minarne la tutela anche e soprattutto in ordine alle esigenza di giustizia sostanziale.

        Benché tale riflessione possa risultare comprensibile, in ragione di quanto esposto, non può essere ritenuta appieno condivisibile. Di certo, almeno nell’odierno, i metodi di Intelligenza Artificiale non sono pensati e non saranno usati per sostituire il lavoro umano. Ecco, dunque, che l’uomo si troverebbe comunque a governare la correttezza e l’adeguatezza delle scelte automatiche in relazione al caso specifico, siano esse di natura amministrativa che giudiziaria. Tanto basta ad arginare la polemica.

        A maggior ragione, se si pensa ai benefici che si trarrebbero da tale connubio, in termini di abbattimento dei costi intesi come riduzione dei tempi e miglior impiego delle energie umane.

        In conclusione, ad avviso di chi scrive l’Intelligenza Artificiale, almeno nelle configurazioni attuali, non sembra aver nulla di straordinario da non poter essere governato dall’uomo. Ne consegue che, a fronte della regolamentazione e del dominio umano sulla decisione finale, non si rinvengono ragioni per non impiegare l’IA anche nelle fasi decisionali, se non un particolare attaccamento per i sistemi classici che riflettono l’animo burocrate del sistema italiano pubblicistico che, a fronte dei risultati poco soddisfacenti, si ritiene di dover abbandonare per abbracciare definitivamente il progresso tecnico-scientifico. Si tratta in definitiva di una questione culturale.

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