Vulnerabilità dell’ecosistema e crisi ambientale: cenni di un’analisi storica e giuridico-filosofica

Premessa

Che si vogliano intendere, la natura e l’universo, quali prodotti di una creazione divina (concezione propria del Panteismo) oppure un’aggregazione fortuita di atomi (concezione propria di Democrito), oggi non si può negare che tutte le specie viventi facciano parte di essi.

Ciò è stato sostenuto già nell’antica Roma, laddove – seppur in maniera indiretta – Ulpiano, in un passo riportato all’inizio del Digesto1, ha definito il jus naturale quale diritto che la natura ha insegnato a tutti gli esseri animati (animalia), intendendo con tale termine sia gli esseri umani sia tutti gli altri esseri animati che nascono in terra ed in mare, ed anche agli uccelli; tutti questi dunque sono presenti in natura e tutti insieme costituiscono quello che oggi consideriamo un grande ecosistema.

Negli ultimi anni si parla sempre più spesso di una crisi climatica ed ambientale che mette a rischio diverse specie viventi ed anche, quindi, la specie umana.

Oramai, si discute, in più ambiti, di una situazione che – si teme – sfoci in quella che è stata considerata la “sesta estinzione di massa2 (o “l’estinzione dell’Antropocene”), che vede, per la prima volte, come causa lo stesso Homo Sapiens, il quale, con le sue attività, è riuscito ad effettuare modifiche territoriali, strutturali e climatiche che hanno inciso sui processi geologici.

L’attenzione su un cosiddetto “sviluppo insostenibile” è stata posta già durante l’impero romano, subito dopo l’età repubblicana, laddove, nel rapporto tra uomo e ambiente, è stata sottolineata la scarsa sensibilità circa la controproduttività delle attività antropiche per l’ambiente.

Orazio, poeta di età augustea, nelle sue Odi, si era scagliato contro il lusso sfrenato dei nuovi ricchi e la loro mania di costruire ville sempre più grandi e sfarzose, togliendo spazio alle colture agricole e stravolgendo pertanto la natura dei luoghi.3

Plinio il Vecchio, nel suo trattato naturalistico Naturalis Historia, aveva messo in guardia dai pericoli provocati dall’eccessivo sfruttamento delle miniere, sottolineando come l’uomo fosse sconsiderato nello sfidare, in tal modo, le leggi della Natura.4

E, nel menzionare un rischio d’estinzione di specie animali o vegetali specifiche, non deve sentirsi esclusa o avulsa da vulnerabilità la stessa specie umana, dal momento che l’ecosistema, quale sistema complesso di cui – come detto – fa altresì parte l’uomo, rende tutte le specie viventi parte di un processo ciclico i cui effetti si riversano inevitabilmente su ciascuna.

Ne sono prova i sempre più frequenti disastri ambientali (si pensi alle recentissime alluvioni che hanno causato centinaia di morti in Spagna, o che hanno messo in ginocchio ancora una volta l’Emilia Romagna) determinati dalla distruzione degli habitat, dall’industrializzazione, dallo sfruttamento delle risorse naturali non rinnovabili e dall’incremento della concentrazione di CO2, e i quali rendono sempre più probabili prospettive future poco rosee, come la scomparsa della grande barriera corallina, la sommersione di città come Venezia, oltre a fenomeni diffusi di siccità, carestie ed epidemie…

Tuttavia, è solo nell’ultimo secolo che, nel contesto internazionale, nel quale è stata avvertita maggiormente la necessità di adottare delle iniziative volte a fronteggiare la problematica, sono stati introdotti principi volti ad un riconoscimento della tutela ambientale, la quale poi è stata ricompresa nel novero dei diritti inviolabili dell’essere umano.

Il normativismo che genera e trascura la vulnerabilità

La vulnerabilità è una caratteristica che interessa tutte le specie viventi e che assume un’accezione universale. Tutti i corpi sono, in re ipsa, vulnerabili indipendentemente dalla posizione soggettiva di chi osserva.

Uno dei significati attribuiti al termine vulnerabilità è “condizione di particolare suscettibilità, da parte di un soggetto e/o di più soggetti, di subire determinati danni per effetto di determinate azioni o determinati fenomeni naturali5.

Tuttavia, non è possibile far riferimento ad un unico significato specifico, essendo un vocabolo presente in svariati settori, i quali a loro volta adottano molteplici e differenti significati.

Anche nel contesto giuridico e, in particolare, nell’ambito della giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’UE, la quale si è più volte soffermata sulla questione, non si trovano categorie tassative, in quanto “vulnerabile” può essere considerato sia il singolo individuo (si pensi al minore di età, al consumatore, ai soggetti con particolari condizioni di salute, etc…) sia la collettività (si pensi, appunto, al tema ambientale che riguarda una pluralità di individui, o a classi di soggetti), ed anche perché spesso esso rappresenta un termine recante una concezione “situazionale”, potendo indicare una condizione determinata da circostanze contingenti.

È da osservare come spesso queste circostanze siano riferibili ad un disvalore generato da norme che giustificano la diversità che ne è alla base.

Si pensi – tra le tante – alla lotta che le donne hanno dovuto portare avanti, e vi continuano tuttora, per ottenere la parità di genere e il riconoscimento dei diritti politici, civili e sociali, in quanto trattasi di questione non ancora totalmente superata, nemmeno nei Paesi più emancipati, per non parlare dei Paesi in cui è ancora molto forte il patriarcato che tarpa le ali alle donne.

Un esempio congeniale, ai fini del presente elaborato, è rappresentato dalla vicenda che ha interessato la prima donna ammessa ad esercitare la professione forense in Italia, Lidia Poët.

Costei ha lottato contro un sistema che, di fatto, ammetteva l’esercizio dell’attività di avvocato unicamente al genere maschile e che ha, pertanto, continuamente cercato di impedirle (senza riuscirvi) di raggiungere tale traguardo.

Grazie anche alle iniziative di Lidia Poët, successivamente, sono stati conseguiti notevoli passi in avanti nel campo della parità dei sessi, per giunta nell’ambito dei pubblici uffici.

Interessante è la pronuncia della Corte di Cassazione con cui, alla Poët, è stata poi revocata l’iscrizione all’albo degli Avvocati.

Di fatti, con sentenza del 18 aprile 1884, la Suprema Corte ha confermato la decisione della Corte d’Appello, dichiarando che la donna non poteva esercitare l’avvocatura, professione rientrante nella categoria dei pubblici uffici, dai quali le donne erano escluse, salvo esplicita previsione legislativa.

La legge unitaria sull’avvocatura n. 1938, datata 8 giugno 1874, in vigore illo tempore, tuttavia, non prevedeva espressamente alcuna esclusione del genere femminile dall’avvocatura. Ciononostante, i giudici della Cassazione hanno chiarito, in tal senso, che non era possibile interpretare il silenzio del legislatore alla stregua di una ammissione: il termine “avvocato” non poteva riferirsi anche al genere femminile per il quale termine di riferimento avrebbe dovuto essere “avvocata”.

Orbene, attraverso il prefato esempio si vuole sottolineare come spesso sia proprio il normativismo a determinare bolle di vulnerabilità, la quale dunque si presenta nelle vesti di una diversità delineata proprio da chi – anche in risposta ad un orientamento culturale – di quella norma ne è autore ovvero da chi non ne è.

Ciò che si vuol dire è che la produzione di talune norme, al fine di definire determinati diritti, provoca talvolta l’esclusione di altri diritti, sia che ne siano paralleli sia che abbiamo un punto di incontro con i primi, dando luogo, appunto, a ineludibili forme di vulnerabilità.

In tal senso, confacenti sono le parole di Giuseppe Mazzini, il quale, nel suo saggio Diritti dell’uomo, ha dichiarato come i diritti dell’uomo – pur avendo trionfato quasi dappertutto – non hanno permesso che il popolo migliorasse; e ciò perché ciascuno “si preoccupò soltanto dei propri diritti, e quando questi si trovarono in contrasto con quelli degli altri fu guerra: guerra non di sangue, ma d’oro e d’insidie”.6

La crisi ambientale, in definitiva, non è altro che il prodotto di una lacuna durata troppo tempo: prima per una sorta di noncuranza determinata dal prevalente sentimento egoistico di arricchimento che ha sacrificato la Natura – come osservato in età antica –, poi per mere questioni culturali.

Ma queste mancanze hanno reso la casa del genere umano – ed esso stesso –vulnerabile, sino a pervenire ad una situazione che richiede – a detta di esperti in materia – un intervento urgente per evitare una condizione di irreversibilità, che potrebbe, nel tempo, condurre alla succitata sesta estinzione di massa.

Osservazioni filosofico-giuridiche

Ancora una volta è basilare osservare come le ripercussioni della vulnerabilità dell’ecosistema e della conseguente crisi ambientale ricadano, oltre che sulle differenti specie animali e vegetali, inesorabilmente sulla specie umana.

A livello internazionale, già dagli anni settanta del secolo scorso, con la Dichiarazione di Stoccolma del 1972, adottata a seguito della Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente umano, sono state mosse importanti iniziative al fine di elaborare espressi principi funzionali ad incentivare la tutela ambientale.

Tra i ventisei principi introdotti, il primo prevede espressamente che: “L’uomo ha un diritto fondamentale alla libertà, all’uguaglianza e a condizioni di vita soddisfacenti, in un ambiente che gli consenta di vivere nella dignità e nel benessere. Egli ha il dovere solenne di proteggere e migliorare l’ambiente a favore delle generazioni presenti e future”.

In particolare, le Nazioni Unite si sono rese protagoniste di molte iniziative in tal senso. Si pensi alla “Agenda 2030“, sottoscritta nel settembre 2015, ed alla successiva “Agenda 2050“, presentata nel 2019, le quali hanno proposto, tra i propri obiettivi, quello di raggiungere un equilibrio mondiale più equo e sostenibile.

A livello nazionale, invece, solo con la legge costituzionale del 2022, n. 1, è stata introdotta un esplicito riferimento alla tutela ambientale, all’interno della Costituzione italiana e, precisamente, negli articoli 9 e 41.

L’emanazione di principi, sia a livello internazionale che nazionale, tuttavia, non pare risolvere, in concreto, alcunché, poiché si tratta di canoni che “hanno un contenuto relativamente più generale, più astratto, più vago e più generico rispetto a quello delle regole”; essi sono dei meri “precetti di ottimizzazione”, ossia delle direttive realizzabili solo in parte e in misura variabile, che non prescrivono delle condotte specifiche, ma rinviano a valori che dovranno essere attuati nella maggior misura possibile.7

Tale portata eminentemente ideale, costituisce probabilmente il motivo per cui, nonostante i buoni propositi emersi sin da cinquanta anni a questa parte, la situazione globale non solo non è migliorata, ma è altresì degenerata.

Un aspetto su cui è necessario soffermarsi è come, sia nel primo principio della Dichiarazione di Stoccolma del 1972 che nel secondo comma dell’articolo 9 della Costituzione italiana, venga espressa particolare sensibilità verso le “future generazioni”.

Ed è proprio questo il punto. La responsabilità che dovrebbe gravare sugli attuali abitanti del pianeta è base essenziale e funzionale affinché l’integrità dell’ecosistema terrestre possa essere, non solo nell’odierno, preservata e garantita a beneficio delle generazioni umane future, abbandonando la vetusta concezione di un diritto appartenente unicamente a soggetti presenti hic et nunc.

Certo, la questione è alquanto complessa, perché, pur potendo considerarla oggi una problematica strettamente attuale, in passato – ove il rischio di ripercussioni tragiche, come quelle che si prospettano oggi, sembravano molto lontane (o, forse, improbabili) – gli studiosi e i legislatori si sarebbero dovuti preoccupare di diritti di una futuribile classe di soggetti.

La soluzione più lungimirante sarebbe stata quella di ricomprendere il diritto a un ambiente pulito, sano, sicuro e sostenibile, tra i diritti umani, nello loro concezione propriamente giusnaturalistica.

Tale prospettiva è stata raggiunta dalle Nazioni Unite, solo di recente con la Risoluzione n. 48/13 dell’8 ottobre 2021 adottata dal Consiglio per i Diritti Umani.

Coerentemente si pone il contestuale invito agli Stati a implementare la cooperazione internazionale per la concreta attuazione della risoluzione in parola, atteso che, per adempiere ai loro obblighi in materia di diritti umani, gli Stati devono proteggere l’ambiente.

Quanto alla dimensione temporale ed alla considerazione, quindi, di una tutela rivolta anche alle future generazioni, Stefano Rodotà – richiamando ciò che è riportato nel Preambolo della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, dove si afferma che “il godimento di questi diritti fa sorgere responsabilità e doveri nei confronti degli altri come pure della comunità umana e delle generazioni future” – ha considerato come una dimensione del tempo “sconfinata” darebbe l’opportunità di garantire ulteriori diritti.

Breviter, dilatare nel tempo la visione, l’efficacia e l’ambito di ricaduta appare una soluzione più funzionale e cautelativa per far fronte alle nuove sfide imposte dalla celerità dei cambiamenti commerciali e geopolitici dell’era attuale e dal multiforme, multidimensionale e multidirezionale sviluppo tecnologico post industriale.

Vi è, tuttavia, una più confortevole “dittatura del breve periodo” che, pur di sottrarsi alle valutazioni ed alle responsabilità legate ad una più lunga durata, sacrifica tali diritti.

Egli, inoltre, ha osservato come questa riduzione dello spazio temporale ed il suo confinamento può talvolta incidere proprio sui principi della tutela dell’ambiente e dello sviluppo sostenibile, di prevenzione e precauzione, che, per definizione e per programma, dovrebbero spingere il loro raggio di azione nella direzione della garanzia di altri tempi e di altri soggetti.8

Al pari dei principi, anche nell’ambito dei diritti umani, emergono enormi lacune circa l’attuazione di una precisa ed effettiva tutela.

Claude Lévi-Strauss ha ben osservato, sul punto, come “le grandi dichiarazioni dei diritti dell’uomo hanno, anche esse, la forza e la debolezza di enunciare un ideale troppo spesso dimentico del fatto che l’uomo non realizza la propria natura in un’umanità astratta, ma in culture tradizionali”.9

Orientamento presente anche nel pensiero di Norberto Bobbio, il quale ha parlato di un “processo di specificazione dei diritti”, che si realizza attraverso l’allargamento “dell’ambito dei diritti dell’uomo, nel passaggio dall’uomo astratto all’uomo concreto, attraverso un processo di graduale differenziazione o specificazione dei bisogni e degli interessi, di cui si chiede il riconoscimento e la protezione”.10

Pertanto, ciò su cui è necessario focalizzarsi è l’introduzione di diritti concreti che abbandonino l’astrattezza e la vaghezza proprie dei principi generali, affinché si possa rispondere ad una necessità pratica, effettiva e specifica di intervento nell’ambito anche della vulnerabilità dell’ecosistema planetario.

Si tratta di diritti che richiamino, oltre la caratteristica della esteriorità, anche, ai fini di una loro efficacia immediata, una sorta di coattività kantiana, ossia una vera e propria “facoltà di costringere” (Befugniss zu zwingen)11, ossia un imperativo categorico del dovere di rispettarli e esperirli.

Conclusioni

Come nel passato, i ceti più bassi hanno lottato contro i ceti più alti, gli oppressi si sono ribellati ai propri oppressori e le donne hanno instaurato delle battaglie contro il genere maschile, così oggi, in una certa prospettiva, l’ambiente lotta contro il genere umano, artefice del suo sfruttamento e danneggiamento.

Una lotta che, invero, vede, ancora una volta e in fin dei conti, l’uomo contro l’uomo.

In ogni caso, si tratta umanità globalmente vulnerabile e di vulnerabililità alla stregua di ogni altra componente vivente o meno dell’ecosistema planetario.

Recentemente, anche Papa Francesco ha dimostrato particolare sensibilità verso tale problematica ed ha sostenuto che ambiente umano e ambiente sociale si degradano insieme, in quanto uno influenza l’altro.

Ha altresì dichiarato come la vera crisi, prima ancora di essere ambientale, è una crisi antropologica, una crisi personale, che riguarda i valori e allora, nel momento in cui degrada l’ambiente, degrada anche l’uomo e viceversa, in una spirale che nulla ha di virtuoso.

Sunto forte, diretto e significativo lo si runviene nelle parole di Antonio Guterres, Segretario Generale delle Nazioni Unite, il quale ha sostenuto che “la lotta contro i cambiamenti climatici è una questione di vita o di morte: non agire sarebbe un suicidio”.


1 Digesto, 1, 1, 1, 3.

2 KOLBERT Elizabeth, La sesta estinzione: una storia innaturale, Neri Pozza Editore, Vicenza, 2014.

3 Orazio, Odi, II, 15, 1-7; 11.

4 Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, XXXIII, 3.

5 PASTORE Baldassarre, Semantica della vulnerabilità, soggetto, cultura giuridica, Giappichelli, Milano, 2021.

6 MAZZINI Giuseppe, Doveri dell’uomo, Editori Riuniti University Press, Roma, 2011.

7 ALEXY Robert, Concetto e validità del diritto,Carocci, Roma, 2022.

8 RODOTÀ Stefano, Il diritto di avere diritti, Laterza, Bari-Roma, 2012.

9 LEVI-STRAUSS Claude, Razza e storia. Razza e cultura, Einaudi, Torino, 2002.

10 BOBBIO Norberto, L’età dei diritti, Einaudi, Torino, 2002.

11 KANT Immanuel, Metafisica dei costumi, Introduzione alla dottrina del diritto, Laterza, Bari-Roma, 2006.

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