La creatività da sola non basta, è necessario munire le Organizzazioni Artistiche e Culturali (OAC) di una struttura organizzata e di una gestione manageriale.
In qualche misura, l’attitudine individuale, insita nella creatività, per estrinsecarsi al meglio e giungere efficacemente al momento della fruizione, deve muoversi dalla sfera del personale per estendersi al piano collettivo e imprenditoriale.
La protezione, apprestata dalla Costituzione alla cultura (art. 9) e all’arte (art. 33), senza dubbio, costituisce la base per una valorizzazione di principio che è primo passo per la promozione e lo sviluppo.
Tuttavia, affinché concretamente arte e cultura si traducano in espressione effettivamente accessibile, disponibile e godibile, in maniera diffusiva, occorre un’organizzazione di mezzi e persone e un approccio capace di utilizzare al meglio tali risorse.
Le motivazioni sono dettate principalmente dalla scarsità delle risorse pubbliche disponibili e dunque dalla necessità di intercettare i criteri in base ai quali i policy makers1 decidono di finanziare una determinata iniziativa in luogo di un’altra e di utilizzare in maniera più efficiente i finanziamenti ricevuti.
In tal senso, si riscontra una crescente attenzione da parte delle OAC nei confronti della teoria e della pratica manageriale2.
Non molti tuttavia hanno studiato il mondo dell’arte e della cultura come un comparto avente una logica anche economica3.
In genere i due mondi, cultura ed economia, sono stati considerati come entità distinte e distanti4.
Auspicabile sarebbe un congruo approccio dell’economista al mondo dell’arte e della cultura, finalizzato a comprenderne appieno il valore. Tale via sarebbe percorribile solo individuando e studiando i meccanismi intrinseci della creazione artistica e della sua fruizione, così da sviluppare forme di organizzazione manageriale funzionali a non sacrificare la libertà creativa.
Essenziale è andare oltre l’inquadramento del ruolo economico delle OAC, così come illustrato nei tradizionali approcci di cultural economics, teso a individuare meramente gli impatti diretti, indiretti ed indotti.
Cosa hanno in comune l’allestimento di un testo di prosa, l’esecuzione di un concerto sinfonico o rock, la programmazione di una stagione teatrale, la realizzazione di una rassegna cinematografica, l’effettuazione di un concorso per strumento musicale e persino le riprese di un film?
Secondo Lucio Argano5, sono tutti progetti spettacolari che hanno tra loro analogie di processi, procedimenti, saperi e conoscenze ma si esprimono poi ciascuno attraverso combinazioni di risorse e competenze secondo una propria e singolare unicità.
L’obiettivo del progetto di uno spettacolo6 è di ottenere un risultato originale che si manifesta ed esaurisce nel momento stesso in cui va in scena o è realizzato, oppure, come nel caso del cinema, si tratta di un risultato che riproduce, e quindi ferma, lo stesso originale.
I risultati ricercati sono oltre che unici, il più delle volte irripetibili e sofisticati, con un orientamento alla qualità finale complessiva, da intendersi non solo esclusivamente culturale e artistica, ma anche organizzativa e della comunicazione.
Pertanto, quello che deriva da una rappresentazione e/o riproduzione di uno spettacolo – dal vivo o registrato – più che un prodotto, va qualificato come un prototipo e un’esperienza.
Determinante è l’elemento umano come principale fattore produttivo, ma con la particolarità che coesistono nello stesso progetto più team diversi e specialistici (creativi, artistici, tecnici di palcoscenico o di set, organizzativi, di servizio alla sala spettacolo) i quali dispongono di informazioni necessarie gli uni agli altri e contribuiscono con input specifici, eterogenei e differenziati, che vanno poi a combinarsi nel risultato definitivo.
Trattasi di un contributo lavorativo che ha una connotazione artistica preponderante e che vede la presenza di svariati modelli di leadership (autoritaria paternalistica, autoritaria drastica, carismatica, partecipativa, etc.) in genere assunta dalla figura di coordinamento artistico (regista, direttore, etc.)
La complessità deriva principalmente dall’impossibilità di governare appieno, entro schemi prevedibili e misurabili, i processi creativi che sono determinanti per la riuscita del progetto stesso.
Ciò comporta che l’assenza di paletti, quindi, la piena libertà espressiva dei soggetti coinvolti in tali processi (ad esempio, il regista, il direttore d’orchestra, il coreografo), possa incidere considerevolmente sui vincoli tempi-costi-qualità del progetto e, di contro, una rigida perimetrazione del lavoro artistico potrebbe finire per inficiare il successo dell’iniziativa.
Ecco quindi che tali progetti subiscono al loro interno un continuo e inesauribile processo di negoziazione tra istanze artistico/creative e necessità di tipo manageriale/produttivo e relative figure responsabili (si pensi alla data inderogabile di un debutto o di una tournée, al rispetto di un budget, al vincolo morfologico di un palcoscenico rispetto a una scenografia).
Senza un adeguato project management plan, l’organizzazione di qualsivoglia spettacolo è esposta a una gestione caotica, obiettivi poco chiari, risorse inadeguate e dipendenti frustrati.
Una pianificazione non realistica significa infatti rischi elevati che possono minare il conseguimento degli obiettivi perseguiti o renderli di scarsa qualità, oltre che fonte di spese elevate.
In tale prospettiva, risulta essenziale creare, prima dell’inizio dei lavori, un piano di gestione del progetto completo e aderente ai caratteri di quanto si intenda realizzare.
Si ricordi che il ciclo di vita di un piano di gestione può essere suddiviso in cinque fasi: avvio, pianificazione, esecuzione, monitoraggio e chiusura, che comprende la verifica dei risultati.
La fase di avvio parte dall’idea fino a una prima definizione del progetto.
Quella della progettazione serve a definire le attività, cui segue quella di esecuzione, che è la parte operativa fino alla sua chiusura, in cui vi è infine la valutazione dei risultati raggiunti7.
Pertanto l’applicazione di principi e tecniche di management, sia ai progetti che daranno vita ai prodotti creativi che alle OAC, si delinea come un momento imprescindibile.
Si può parlare di un ambiente organizzativo adhocratico8, dove l’adhocratia è una forma organizzativa fondata su piccoli gruppi di lavoro che aggregano persone in possesso di competenze specialistiche diverse, dotata di un’ampia autonomia operativa e decisionale, capace poi di evolvere e di adattarsi velocemente ai cambiamenti dell’ambiente esterno.
Si tratta cioè di una gestione votata alla imprevedibilità, flessibilità e a compiti che si contrappongono alla cultura burocratica standardizzata9.
Uno dei primi a dare vita a una teoria del valore dell’arte e della cultura è stato M.E. Porter con la sua “teoria del vantaggio competitivo delle Nazioni”10.
Alla base della ricerca c’era la domanda: perché certi ambienti nazionali ospitano, quindi, presumibilmente determinano almeno in parte, le imprese che – in una certa fase e, in un certo settore – sono in grado di esprimere un vantaggio competitivo differenziale nei confronti dei concorrenti di altri paesi?
Nel rispondere a detto quesito, lo studioso cercò di individuare e analizzare le ragioni del successo di un paese in un particolare settore (nel caso di specie in quello artistico-culturale).
Per conseguire ciò, prese in esame cento settori in dieci differenti paesi, arrivando alla conclusione che, le determinanti (economiche) del vantaggio competitivo di un paese si basano fondamentalmente su quattro caratteristiche principali:
1. le dotazione dei fattori11: risorse umane, fisiche, di conoscenza, finanziarie e infrastrutturali in senso lato.
2. le condizioni della domanda domestica per beni e servizi del settore, sono aspetti quali-quantitativi, e i segmenti che compongo il mercato (quelli più ampi ricevono maggiore attenzione), ossia: il numero degli acquirenti indipendenti; la propensione degli acquirenti domestici ad anticipare le tendenze innovative rispetto a quelli delle altri nazioni; la presenza di una clientela sofisticata ed esigente; il livello di internazionalizzazione della domanda interna.
3. La presenza sul territorio di industrie collegate e di supporto: in altre parole, vi sono industrie di fornitura di input che siano di qualità, con costi bassi? Ci sono collegamenti? Ci sono scambi di informazioni e di conoscenze?
4. La natura della rivalità domestica e le condizioni dell’ambiente nazionale, come la formazione, le strutture organizzative e le strategie per favorire l’innovazione delle imprese nazionali.
Secondo Porter, una nazione può acquisire un vantaggio “resistente” in un settore se possiede, in qualità e quantità, i fattori più significativi per competere.
Il vantaggio competitivo di un paese è sistemico e dinamico-evolutivo, perché tale è il rapporto tra i diversi fattori.
E l’Italia offre un esempio emblematico.
“Praticamente in ogni industria di beni di consumo nella quale gli italiani hanno un vantaggio competitivo nazionale, gli acquirenti italiani sono fra, se non i più sofisticati12 e avanzati (questo è particolarmente vero nell’abbigliamento, nelle calzature, nei gioielli, nei mobili, nelle lampade, nelle piastrelle di ceramica, nei prodotti alimentari, nel vino e in molti altri)…I consumatori italiani si collocano sulle punte avanzate del gusto e dello stile13. Alcuni osservatori attribuiscono questa caratteristica a un inconsueto interesse per lo stile e le arti, una funzione forse del vivere tra i capolavori. Gli italiani sono molto sensibili alle nuove tendenze e sono tra i primi ad adottare nuovi stili e nuove funzionalità”14.
La teoria porteriana ha evidenziato, per la prima volta, il valore economico dell’arte e della cultura in un paese.
L’interesse dello studioso non si è limitato alle nazioni ma si è esteso ai distretti15 industriali16 presenti nel territorio e ha riguardato il mondo dell’arte e della cultura, perché l’attenzione si è concentrata sugli agglomerati industriali manifatturieri, i cui output sono beni di consumo che hanno assunto un valore estetico e simbolico per i consumatori; nonché su città come Parigi, Milano, Los Angeles che si sono arricchite di diverse presenze, come i musei, le produzioni multimediali, le organizzazioni specializzate, le relazioni organizzative e coesione sistemica.
In tal modo, i contesti urbani hanno assunto le caratteristiche del cluster17 ovvero del distretto culturale.
Alla base del vantaggio competitivo dei sistemi territoriali, ci sono le relazioni tra soggetti distinti18 che pongono in essere una serie di attività che portano al conseguimento di obiettivi specifici.
La cooperazione tra i soggetti omogenei o eterogenei, che può essere verticale od orizzontale, è un processo dinamico basato su quattro variabili relazionali:
1. la fiducia reciproca19,
2. il commitment dei partner20
3. la trasparenza informativa21
4. l’ adattamento reciproco.
Walter22 Santagata23 sostiene che “in termini teorici un distretto culturale sia il prodotto di due fattori: la presenza di economie esterne di agglomerazione e il riconoscimento della natura idiosincratica della produzione della cultura. Quando questi due ambienti si riuniscono in uno economico dinamico e creativo, le condizioni per l’esistenza di un distretto culturale potenzialmente sono soddisfatte”.
Egli distingue quattro differenti tipologie di distretti culturali: l’industriale, il museale, il metropolitano e l’istituzionale.
Secondo Perrone24 “i distretti rappresentano una particolare forma di organizzazione delle attività economiche attraverso la quale, bilanciando dinamiche cooperative e competitive, imprese generalmente di piccole dimensioni, legalmente indipendenti e distinte, che insistono su uno stesso territorio, riescono a raggiungere in aggregato performance economiche superiori sia rispetto a scenari puramente competitivi, sia all’interno di una singola organizzazione”.
La co-localizzazione territoriale e la co-specializzazione produttiva, secondo Sicca25, sono solo alla base materiale del distretto, ossia sono condizioni necessarie ma non sufficienti, idonee da sole a spiegare perché certi meccanismi di azione economica collettiva si sviluppino proprio in quelle aree e per quelle attività e non in altre.
Secondo Santagata26 è intorno alla rete dei musei o alle comunità rivolta ai centri cittadini, l’espressione più evidente di distretti culturali.
Quelli metropolitani costituiscono un agglomerato spaziale di edifici dedicati alle arti figurative, musei e organizzazioni che producono cultura e beni fondati sulla cultura, servizi e strutture correlate e bisogna distinguere tra città d’arte e città di cultura.
Le prime sono le città ricche di un patrimonio monumentale, di chiese, palazzi che “si mostrano a beneficio dei cittadini e dei turisti”, come Venezia e Firenze.
Le seconde invece non sono ricche di risorse storiche ma la pianificazione urbanistica consente agli artisti di lavorare e produrre cultura.
Si arriva ai distretti culturali con le economie post-industriali, basate sull’investimento in ricerca, sulla produzione di nuovi brevetti e sulla diffusione delle competenze nell’uso delle nuove tecnologie.
La cultura diviene così una risorsa, un canale privilegiato di promozione di pensiero innovativo.
Ancora oggi permane il ruolo della cultura come leva di sviluppo e di creazione del valore economico, molti centri urbani infatti, per rilanciarsi hanno sfruttato proprio la cultura, aprendo musei, favorendo l’insediamento di artisti o introducendo attività innovative27.
Il vantaggio competitivo dei sistemi territoriali poggia dunque su un’intelaiatura di relazioni tra soggetti distinti. Focalizzando l’attenzione sulle relazioni, anche a prescindere dalla contestualizzazione territoriale, la loro valenza competitiva è stata dimostrata da un’ampia letteratura sulla cooperazione tra organizzazioni e sulle reti organizzative.
È opportuno partire dal patrimonio artistico-culturale (AC) di un territorio, costituito da beni (architettonici, archeologici, archivistici e librari, artistici e musicali) caratterizzati da unicità e rarità.
Si tratta di un capitale al quale è possibile associare un flusso potenziale di prestazioni differenti del “fare cultura” ma che trovano in essa l’occasione.
Le OAC si inseriscono in questo flusso di prestazioni potenziali, con l’erogazione di beni servizi, contribuendo al mantenimento e all’incremento del patrimonio.
Una galleria di arte contemporanea, ad esempio, eroga un servizio ai visitatori sulla base dei beni che conserva e di cui garantisce la fruizione ma può anche produrre o meglio presidiare la produzione di servizi aggiuntivi (un ciclo di conferenze su una corrente artistica), come pure di beni (catalogo, libri, videocassette e altri oggetti) che distribuisce nel proprio negozi interno, il quale costituisce un servizio nell’ambito del prodotto complessivo offerto al consumatore-visitatore28.
Inoltre, la stessa istituzione è interessata ad acquisire nuove opere, incrementando il patrimonio proprio e del territorio, ma può anche produrre o partecipare alla produzione di beni artistico culturali come può esserlo una ricerca che riveli elementi inediti della vita e del lavoro di un artista del passato, di cui la galleria custodisce alcune opere.
Lo stesso dicasi per un ente teatrale che include nella propria missione sia la distribuzione che la produzione di opere e spettacoli teatrali.
In definitiva, le OAC utilizzano i beni del patrimonio artistico-culturale come risorse29 e in questo modo le stesse OAC incrementano la consistenza dello stock di propri beni.
Il servizio tipicamente offerto dai musei e dai teatri ai consumatori finali è di tipo modulare, dove i moduli in un museo sono rappresentati da ciascuna sala espositiva, dalle sale di proiezione, dagli spazi riservati alla didattica, ma anche dal negozio, dal ristorante, et similia.
Il consumatore decidendo di quale modulo fruire, personalizza la visita, ossia il prodotto effettivamente acquistato, selezionando e combinando un sottoinsieme di moduli nell’ambito dell’insieme complessivo.
In ciascun modulo, ogni prodotto è caratterizzato da diversi attributi, ossia, la sala, le opere esposte, l’illuminazione, i pannelli informativi, etc.
Ai moduli principali accessori si affiancano altri servizi come il parcheggio, la biglietteria, il guardaroba, le guide cartacee e audio, le visite guidate e altri ancora.
Il prodotto museale è così complesso, ha una natura multidimensionale e la sua domanda aumenta con l’introduzione di mostre temporanee, considerate sottoinsiemi dell’offerta principale.
Quanto sopra detto vale non solo per i musei, ma anche, a titolo esemplificativo e non esaustivo, per le biblioteche, i festival, gli spettacoli dal vivo.
La fruizione dell’arte e della cultura allora è un ambito elettivo di coproduzione del valore e applicazione di quella branca del marketing definita relationship marketing o marketing relazionale, che permette a un’organizzazione di accrescere il valore della relazione con il cliente attraverso la sua fidelizzazione, basata sulla centralità del cliente.
Non si analizzano ampi segmenti di consumatori, ma target molto precisi, con i quali si cerca di creare un collegamento continuo attraverso molteplici canali: la comunicazione web, quella telefonica dei call center e i social media.
Presupposto di questo tipo di approccio è la conoscenza delle caratteristiche dei clienti, dei loro bisogni e delle loro preferenze, la creazione di fasce di utenza, in funzione delle loro caratteristiche e di conseguenza una comunicazione puntuale loto rivolta, con iniziative e proposte personalizzate.
In aiuto, per la raccolta dei dati relativi ai clienti, è un software di customer relationship management (CRM), in grado di associare e consultare in modo rapido le informazioni raccolte.
Un sistema CRM aiuta le aziende a rimanere in contatto con i clienti, a semplificare i loro processi e a migliorare la loro redditività.
In più oggi il CRM è coadiuvato dall’intelligenza artificiale (AI) mediante:
– l’analisi dei dati: ossia l’AI può analizzare i dati raccolti dal CRM per identificare trend e modelli che possono essere utilizzati per migliorare le strategie di marketing, vendita e assistenza clienti;
– l’automazione, cioè l’AI può automatizzare molte attività ripetitive, come la qualificazione dei lead, la gestione delle email e la creazione di report;
– la personalizzazione, vale a dire che l’AI può aiutare a personalizzare l’esperienza del cliente, ad esempio consigliando prodotti o servizi in base alle sue esigenze e preferenze;
– la previsione, ossia l’AI può essere utilizzata per prevedere il comportamento dei clienti.
Gli strumenti sopra descritti, in un approccio economico-manageriale, devono essere applicati anche alle OAC.
1Coloro che decidono a livello politico nazionale e locale.
2Evoluzione manageriale delle organizzazioni artistico-culturali. La creazione del valore tra conoscenze globali e locali a cura di Roberto Grandinetti e Andrea Moretti, Documenti e ricerche. International Center for Art Economics Università Ca’ Foscari di Venezia, Franco Angeli, Milano, 2012
3Spranzi A. Arte & Economia. I presupposti estetici dell’economia dell’arte, Egea, Milano 1994. Zolberg V. L., Sociologia dell’arte, Il Mulino, Bologna (ed. orig. Constructing a Sociology of the Arts, Cambridge University Press, Cambridge, 1990).
4I primi a occuparsi di art management sono gli studiosi di economia pubblica (Sicca L.M.,The Management of Opera Houses. The Italian experence of the Enti Autonomi, in The International Journal of Vutlural Policy, 1997; Sicca L.M., Organizzazione e gestione del tetro d’opera: un’analisi microeconomica nell’apertura al mercato, in Azienda Pubblica, 1998 vol. 11, fasc. 1-2, pagg. 103-122; Sicca L.M., Organizzare l’arte, Etas, Milano, 2000).
5Lucio Argano, Bollo A., Dalla Sega P., Vivalda C. Gli eventi culturali. Ideazione, progettazione, marketing, comunicazione, Franco Angeli, Milano, 2005.
6Un bene culturale, e quindi anche una performance dal vivo, è un bene non materiale “diretto a un pubblico di consumatori per i quali svolge una funzione artistica ed espressiva, più che utilitaristica” (Paul M. Hirsch, Processing fads and fashions: An organization-set analysis of cultural industry system, in American Journal of Sociology, 77, 1972, pag. 641. Testo originale: “directed at a public of consumers for whom they generally serve as an aesthetic or expressive, rather than clearly utilitarian function”).
7Lucio Argano, Manuale di progettazione della cultura. Filosofia progettuale, design e project management in campo culturale e artistico, Franco Angeli, Milano. Collana: Management. I textbook per l’Università e la professione dell’aprile del 2016.
8R.D. Archibald, Project management, Franco Angeli, Milano, 1996.
9In Economia della cultura, a. VIII, 1998, n.1, pagg.7-14. La formazione del management culturale: comprendere i bisogni, definire gli obiettivi di Lucio Argano.
10Porter M.E., Il vantaggio competitivo delle nazioni, Mondadori, Milano, 1991 (Edizione originale The Competitive Advantage of Nations, The Free Press, New York, 1990).
11Le dotazioni dei fattori sono quattro:
- i beni naturali : terra e terra+lavoro=terreno agrario;
- il lavoro è l’attività fisica e intellettuale dell’uomo nel lavoro, retribuita con il salario o lo stipendio;
- il capitale è la ricchezza prodotta e riutilizzata nella produzione – danaro e beni produttivi (capitale circolante e capitale fisso (es. macchinari, strumenti, edifici, terreni, strumenti di lavoro, etc.);
- l’organizzazione: Impresa e Imprenditore, quest’ultimo coordina i fattori della produzione e ne assume i rischi).
Dell’acquisto dei fattori produttivi si occupa la gestione aziendale ed è un’operazione di investimento che genera costi. Nel loro insieme costituiscono una sorta di “diamante” del vantaggio nazionale.
12Si inserisce nell’ambito di una segmentazione dei consumatori per stili di vita. Essa si fonda sull’analisi psicologica dei consumatori (lavoro, hobby, shopping etc.), essa fa rifermento ai loro bisogni nella interazione con l’ambiente esterno, c’é sono un collegamento indiretto con le caratteristiche del prodotto.
13Lo stile di vita è “un insieme di persone che, per libera scelta, adottano modi di comportarsi simili, condividendo gli stessi valori ed esprimono opinioni e atteggiamenti omogenei” (Fabris G., Consumatore & Mercato. Le nuove regole, Sperling & Kupfer, Milano, 1995).
14Porter, Il vantaggio delle nazioni, 1991, pag. 515. Gli italiani rientrerebbero tra i consumatori che anticipano le mode.
15È Alfred Marshall a essere considerato il padre della teoria di distretto industriale e nelle sue opere The economics of Industry (1879) e Principles of Economics (1890) delinea le caratteristiche fondamentali di tale modello, sostenendo che i vantaggi della produzione a larga scala possono essere conseguiti sia raggruppando in uno stesso distretto un gran numero di piccoli produttori, sia costruendo poche grandi imprese. PPer Marshall dunque tale entità viene a formarsi con una localizzazione di piccole e medie imprese in uno spazio ristretto e legate l’una all’altra da una stretta collaborazione, traendo allo stesso modo vantaggio dalle economie di scala.
16Cosiddetti clusters. La legge n. 371/91, art. 36, riprende le parole di Becattini G. Riflessioni sul distretto industriale marshalliano come concetto socio-economico, in Stato e Mercato, n. 25: “ha conferito rilievo pratico e politico all’argomento distretti industriali… Le amministrazioni regionali, infatti, debbono indicare, abbastanza sollecitamente, se vi siano sul territorio distretti industriali, quali essi siano e come essi vadano delimitati.”
17Il cluster in questo caso è caratterizzato dal binomio arte-cultura.
18La rete di valore per un’impresa industriale comprende sia le relazioni dirette con: i fornitori, i partner d’affari, gli alleati, i clienti e, non solo, perché può avere avviato un serie di relazioni sociali con istituzioni scientifiche, laboratori di ricerca, organizzazioni culturali per scambiare informazioni e conoscenze. Sia le relazioni indirette, per esempio con i canali di distribuzione.
19È alla base dell’impegno.
20Misura la disponibilità reciproca a collaborare e costituisce la base per lo scambio di informazioni e conoscenze. Ed è da intendersi nel duplice significato di disponibilità all’impiego di risorse e di promessa reciproca di continuità del rapporto.
21Soprattutto quando ci sia una situazione di asimmetria informativa.
22Walter Santagata (1945-2013) è stato professore ordinario di Scienze delle Finanze e di Economia della Cultura presso l’Università di Torino ed esperto di economia dei Beni e delle Attività culturali, materia che insegnava presso la Facoltà di Lettere e Filosofia del medesimo ateneo. Qui dirigeva inoltre il Centro Studi Silvia Santagata-Ebla (International Center for Research on the Economics of Culture, Institutions, and Creativity), intitolato alla figlia scomparsa nel 2006.
23Santagata W. Cultural Districts, in V. Ginsbourg and D. Throsby (Eds.), Handbook on the Economics of Art and Culture, Series “Handbooks in Economics”, General Editors K. Arrow and M.D. Intriligator, Elsevier Science, North Holland, Amsterdam.
24Perrone V., La collaborazione interorganizzativa in un distretto turistico: la rete dell’ospitalità, in Salvemini S., Soda G. (a cura di) Artwork & network. Reti organizzative e alleanze per lo sviluppo dell’industria culturale, Egea, Milano.
25Sicca M.L. I distretti culturali tra “Istituzioni” e Neoistituzionalismo in Evoluzione manageriale delle organizzazioni artistico-culturali. a cura di R. Grandinetti e A. Moretti Documenti e ricerche International Center for Art Economics Università Ca’ Foscari di Venezia.
26Santagata W., Cultural Districts, in V. Ginsbourg and S. Throsby (Eds.) Handbook on the Economics of Art and Culture, Series “Handbooks in Economics”, General Editors K. Arrow and M.D. Intriligator, Elservier Science, North Holland, Amsterdam.
27Si pensi a Denver negli Stati Uniti e a Graz in Austria.
28R. Grandinetti e A. Moretti, op. cit.
29Argano Lucio, Manuale di progettazione della cultura. Filosofia progettuale, design e project management in campo culturale e artistico, Franco Angeli, Milano, 2012, pagg. 175-176.
Avv. Paola Calvano