Sommario
Introduzione
La riforma Cartabia ha introdotto importanti modifiche al D.Lgs. n. 28/2010 che hanno inciso sulla materia condominiale in maniera sensibile, ciò non senza creare dubbi e problematiche applicative avuto riguardo, in particolare, a due aspetti di seguito analizzati.
I nuovi poteri dell’amministratore di condominio
Una prima importante novità riguarda la legittimazione dell’amministratore di condominio ad avviare e partecipare al procedimento di mediazione, senza previa delibera assembleare autorizzativa, come previsto dal nuovo art 5 ter D.Lgs. n. 28/2010.
È chiaro l’intento di rendere effettivo l’obiettivo di velocizzare e snellire l’iter del procedimento di mediazione.
Eliminando la necessità di avere l’assenso dei condomini, non solo per partecipare ad una mediazione avviata da terzi, ma anche per avviarla, si evita quella che era, in passato, la prassi, ovvero il rinvio del primo incontro di mediazione per consentire la convocazione dell’assemblea, con conseguente allungamento dei tempi della procedura.
Ciò infatti costituiva, senz’altro, un’incongruenza rispetto all’obiettivo di celerità che la mediazione si prefigge tanto più che l’art. 6 del L.Lgs. n. 28/2010 ne prevede un limite di durata.
La riforma aggiunge poteri e responsabilità all’amministratore di condominio temperati dal fatto che, per la decisione relativa alle sorti del procedimento di mediazione, resta sovrana la volontà assembleare.
Soccorre, sul punto, la Suprema Corte a Sezioni Unite, con sentenza del 6.8.2010 n. 18331, specificando che “l’organo principale, depositario del potere decisionale, è l’assemblea dei condomini”.
Se da un lato resta dunque ferma la necessità che l’accordo contenuto nel verbale di mediazione o la proposta di mediazione vengano approvati dall’adunanza condominiale, dubbi interpretativi sorgono, dopo la riforma, circa la maggioranza necessaria per la delibera.
Dispone l’art. 5 ter “Il verbale contenente l’accordo di conciliazione o la proposta conciliativa del mediatore sono sottoposti all’approvazione dell’assemblea condominiale, la quale delibera entro il termine fissato nell’accordo o nella proposta con le maggioranze previste dall’articolo 1136 del codice civile. In caso di mancata approvazione entro tale termine la conciliazione si intende non conclusa”.
La nuova formulazione appare generica rispetto al vecchio testo che precisava che, ai fini dell’approvazione della proposta di mediazione, era richiesta la maggioranza di cui all’articolo 1136 c.c., secondo comma.
Per prassi, si dovrebbe ritenere che si debba continuare ad approvare l’accordo di mediazione con la stessa maggioranza, ma di fatto il dettato normativo tace in proposito.
Impugnazione delle delibere annullabili: interruzione della prescrizione e nuova decorrenza
Problemi applicativi pone la nuova formulazione dell’art. 8 n. 2 D.Lgs. n. 28/2010: “Dal momento in cui la comunicazione di cui al comma 1 perviene a conoscenza delle parti, la domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale e impedisce la decadenza per una sola volta. La parte può a tal fine comunicare all’altra parte la domanda di mediazione già presentata all’organismo di mediazione, fermo l’obbligo dell’organismo di procedere ai sensi del comma 1.”
In particolare, essendo stato abrogato l’art. 5 n. 6 del D.Lgs. n. 28/2010 che espressamente prevedeva “Dal momento della comunicazione alle altre parti, la domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale. Dalla stessa data, la domanda di mediazione impedisce altresì la decadenza per una sola volta, ma se il tentativo fallisce la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo 10 termine di decadenza, decorrente dal deposito del verbale di cui all’articolo 11 presso la segreteria dell’organismo”, non vi è più alcun riferimento al fatto che il termine di trenta giorni per impugnare la delibera ricominci a decorrere dal deposito del verbale negativo, al contrario il dettato normativo suggerisce che tale termine ricominci a decorrere dalla comunicazione della domanda di mediazione alla parte convocata.
La conseguenza è che se prima della riforma, il giudizio poteva essere introdotto, senza dubbio alcuno, entro i trenta giorni successivi alla conclusione del procedimento di mediazione con esito negativo, oggi, in assenza di una previsione in merito (che prima c’era, ma poi è stata eliminata), il dubbio è più che legittimo.
Si può ipotizzare che si tratti di una dimenticanza del legislatore, ma sta di fatto che porsi l’interrogativo circa quale sia il termine per introdurre il giudizio, per non incorrere nel rischio di una pronuncia di decadenza, è doveroso.
Per meglio comprendere, si ragioni sull’ipotesi di una delibera pronunciata il 15 marzo 2024: termine per impugnare è il 14 aprile 2024. Prima dello spirare del termine, viene introdotta la mediazione con domanda comunicata alla parte convocata in data 1 aprile. Parte istante si troverà nel dubbio se, per non incorrere in alcuna decadenza, avrà tempo fino al 1 maggio per introdurre il giudizio o se, invece, potrà attendere la conclusione della mediazione con verbale negativo per calcolare i trenta giorni utili al fine dell’introduzione del procedimento giudiziale.
Il primo Tribunale – e al momento forse l’unico – ad esprimersi in merito è stato il Tribunale di Napoli con la sentenza n. 8555 del 20.09.2023.
Secondo il Giudice partenopeo:“vale la pena evidenziare che, a seguito della riforma Cartabia, anche al fine di sgomberare il campo da ogni dubbio interpretativo, l’articolo 8 del D.Lgs. n. 28 del 2010 al comma 2 dispone che ‘Dal momento in cui la comunicazione di cui al comma 1 perviene a conoscenza delle parti, la domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale e impedisce la decadenza per una sola volta’, superando la previsione dell’articolo 5, comma 6, che prevedeva che ‘se il tentativo fallisce la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza, decorrente dal deposito del verbale di cui all’articolo 11 presso la segreteria dell’organismo’ per cui oggi il termine di giorni 30 previsto dall’art. 1137 c.c. per impugnare una delibera assembleare viziata da annullabilità̀ (ossia la quasi totalità̀ dei vizi riscontranti), decorre non più̀ dal deposito del verbale negativo (art. 5, comma 6) ma dal ‘momento in cui la comunicazione di cui al comma 1 perviene a conoscenza delle parti’ (art. 8, comma 2)”.
Il Tribunale di Napoli si è dunque espresso per un’interpretazione rigorosa del dettato normativo, abbandonando la vecchia normativa ritenuta non applicabile nemmeno per prassi, posta l’espressa abrogazione del riferimento al deposito del verbale negativo.
Il dibattito resta comunque aperto.
Qualcuno evidenzia che la tesi del Tribunale di Napoli porterebbe ad un risultato paradossale, nello specifico il giudizio verrebbe introdotto in un momento in cui la mediazione è nella fase iniziale, dunque verrebbe meno lo scopo deflattivo proprio della mediazione.
D’altro canto, il fatto che sia instaurato il procedimento non significa necessariamente che la mediazione non debba continuare e rimanere allo stadio iniziale, anzi appare più probabile che il Giudice, informato della pendenza della mediazione, rinvii la causa per consentire alle parti di continuare tale procedura, con buona pace del fatto che è stata svolta un’attività giudiziale, con il conseguente costo per le parti, che ben potrebbe rivelarsi inutile nel caso in cui le parti riescano a raggiungere un accordo.
Da ultimo, è necessario altresì riflettere sul fatto che per effetto dello stesso art. 8, n.2, D.Lgs. N. 28/2010, “l’avvio della mediazione produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale”. Pertanto se la domanda giudiziale produce sulla prescrizione la sua interruzione fino alla fine del giudizio, analogamente l’avvio della mediazione produce sulla prescrizione la sua interruzione fino alla fine della mediazione, facendo così propendere nella pratica per una conservazione della vecchia normativa.
Si auspica, ad ogni buon fine, un immediato intervento chiarificatore da parte del legislatore o della giurisprudenza, considerato il ruolo essenziale che, da sempre, quest’ultima riveste per l’individuazione della portata di quelle disposizioni normative che risultano di dubbia interpretazione.
Avv. Ester Turato