Il terzo comma dell’art. 590 c.p.[1] prevede la procedibilità d’ufficio e un trattamento sanzionatorio aggravato, nel caso di lesioni gravi o gravissime, se i fatti siano stati “commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro”.
Presupposto perché si configuri l’ipotesi di cui al comma 3, è la qualificazione come “luogo di lavoro” dell’ambiente in cui è avvenuto l’infortunio descritto nel capo di imputazione.
La Corte di Cassazione, Quarta Sezione Penale, con sentenza n. 17679 del 06.05.2024, ha escluso che il set della trasmissione televisiva “Ciao Darwin” possa qualificarsi luogo di lavoro, quando la persona offesa sia un concorrente televisivo che, nel corso delle prove di un gioco, da svolgersi poi durante una puntata, sia caduto nello spazio lasciato libero dai due rulli vicini, in movimento, sui quali aveva saltato per completare il percorso.
In seguito alla caduta, il concorrente aveva battuto la testa nella sottostante vasca piena d’acqua, alta poco più di un metro, riportando lesioni tanto gravi da renderlo paraplegico.
La Procura della Repubblica di Roma, nel capo di imputazione, aveva qualificato la persona offesa, lavoratore occasionale dello spettacolo, infortunatosi sul luogo di lavoro, ai sensi dell’art. 1, comma 188, della Legge n. 296/06[2].
Nello specifico, in relazione al delitto ascritto all’art. 590 c.p. (capo A), aveva contestato ai titolari della società di produzione, R.T.I. SpA, in riferimento al disposto dell’art. 113[3] c.p. di avere – nelle rispettive qualità – per colpa consistente in imprudenza, negligenza e imperizia nonché per violazione delle norma in materia di sicurezza e prevenzione degli infortuni sul lavoro, cagionato al concorrente lesioni personali gravissime, occorsegli mentre lo stesso, quale lavoratore occasionale dello spettacolo, presso la società produttrice della trasmissione televisiva, era intento a espletare la prova sopra descritta.
Il Tribunale di Roma aveva ritenuto che il riferimento normativo citato, a sostegno della qualifica dell’infortunato quale lavoratore dello spettacolo, fosse inconferente perché specificamente relativo a esibizioni musicali dal vivo in spettacoli o in manifestazioni di intrattenimento o in celebrazioni popolari o folkloristiche effettuate da giovani fino ai diciotto anni di età, da studenti fino a venticinque o da soggetti titolari di pensione.
E comunque, al di là del dato normativo, il Tribunale aveva ritenuto non condivisibile l’equiparazione del concorrente di una trasmissione televisiva alla figura del lavoratore.
In particolare, si era ricollegato alla definizione contenuta nell’art. 2 del D.Lgs. n. 81/2008[4] ed evidenziato che la persona offesa – quale concorrente di una trasmissione televisiva – non era inserito nell’organizzazione imprenditoriale, non aveva alcun vincolo di subordinazione e non aveva alcun obbligo di prestare la propria opera: dunque non era un lavoratore della società di produzione televisiva, nell’esercizi di una prestazione di lavoro subordinato.
Ancora, aveva ritenuto che quel set non potesse essere qualificato come ambiente di lavoro, perché la struttura – piscina piena d’acqua, con all’interno i rulli mobili sui quali il concorrente aveva saltato – era stata realizzata a scopo ludico e deputata alle sole prove dei partecipanti alla trasmissione, con la conseguenza che, per il Tribunale, non si poteva contestare alcuna violazione del dettato normativo di cui al D.Lgs. n. 81/2008 e veniva esclusa pertanto l’aggravante di cui all’art. 590, comma 3, c.p..
Il reato di cui al capo A), veniva peraltro dichiarato estinto per intervenuta remissione della querela.
Avverso la predetta sentenza, la Procura presentava ricorso per Cassazione, sostenendo che la persona offesa dovesse essere riconosciuta come lavoratore dello spettacolo, e che – in ogni caso – le disposizioni in tema di prevenzione degli infortuni, dovevano intendersi dettate a tutela anche di tutti i terzi che comunque si trovavano all’interno dell’ambiente lavorativo.
Ritenendo infine errata la sentenza lì dove non qualificava la struttura come luogo di lavoro, solo perché destinata a un gioco televisivo, atteso che la stessa costituiva pur sempre un luogo al cui interno venivano espletate prestazioni lavorative. Osservava, in tal senso, che l’infortunio occorso al concorrente, si era verificato proprio in conseguenza dell’inosservanza degli obblighi di sicurezza imposti dalla legge a tutela della prevenzione di possibili infortuni connessi al rischio di caduta.
Secondo questa impostazione, per la Procura di Roma, il reato era stato considerato erroneamente estinto.
Le questioni giuridiche alla base della decisione sono, in sostanza, tre:
- entro quali limiti un soggetto possa essere definito lavoratore dello spettacolo;
- quando si possa parlare di luogo di lavoro;
- e se le norme antinfortunistiche, dettate a tutela dei lavoratori, si estendano anche ai terzi che si trovino nell’ambiente di lavoro, allorquando le lesioni o l’omicidio colposo dei medesimi, derivino dalla loro violazione e sussista un legame causale tra la condotta del datore di lavoro e l’evento.
La Corte di Cassazione, Quarta Sezione Penale, con la sentenza n. 31478 del 23.08.2022[5] aveva preso le mosse da pregressa giurisprudenza di legittimità secondo cui la normativa antinfortunistica è rivolta non solo alle esigenze di tutela della salute dei lavoratori, ma anche alla necessità di garantire l’incolumità dei terzi che si trovino sui luoghi di lavoro e possano essere esposti a rischi derivanti dall’attività lavorativa.
Era, in tal senso, arrivata ad affermare che “è ben possibile che nell’evento sia concretizzato il rischio lavorativo anche se avvenuto in danno del terzo, ma ciò richiede che questi si sia trovato esposto a tale rischio alla stessa stregua del lavoratore. Per tale motivo in positivo, vengono richieste condizioni quali la presenza non occasionale sul luogo di lavoro o un contatto più o meno diretto e ravvicinato con la fonte di pericolo; e, in negativo, che non deve avere esplicato i suoi effetti un rischio diverso”[6].
Da qui il generale principio secondo cui “ai fini dell’integrazione della circostanza aggravante del ‘fatto commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro’ è necessario che venga violata una regola cautelare volta a eliminare o ridurre lo specifico rischio, derivante dallo svolgimento di attività lavorativa, di morte o lesioni in danno dei lavoratori o di terzi esposti alla medesima situazione di rischio e pertanto assimilabili ai lavoratori, e che l’evento sia concretizzazione di tale rischio ‘lavorativo’, non essendo all’uopo sufficiente che lo stesso si verifichi in occasione dello svolgimento di un’attività lavorativa”.
La domanda che allora il Giudice si sarebbe dovuto porre, nel caso del concorrente alla trasmissione Ciao Darwin, era se, stabilito il modo in cui il gioco si sarebbe dovuto svolgere (percorso sui rulli mobili posizionati in piscina), erano stati adottati tutti i provvedimenti adeguati a evitare che quella modalità potesse essere fonte di pericoli per la salute dei terzi, mediante la verifica dell’area interessata, della profondità della piscina, così prevedendo e prevenendo il rischio connesso all’attività aziendale (D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 18, comma 1 lett. q).
Il giudice si sarebbe dovuto chiedere se il responsabile del servizio prevenzione e protezione[7] avesse compiuto i sopralluoghi sull’area interessata dal gioco[8].
Ancora, il giudice si sarebbe dovuto chiedere se il preposto[9] avesse informato tutti i concorrenti, non solo l’infortunato, delle condizioni di pericolo derivanti dall’esecuzione di quel gioco.
E, nel caso di specie, non avrebbe potuto trovare applicazione neanche il limite di cui alla sentenza n. 51142 del 12.11.2019 sempre della Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione, secondo cui “la circostanza aggravante è ravvisabile solo se la regola prevenzionistica sia dettata a tutela di qualsiasi soggetto che entri in contatto con la fonte di pericolo sulla quale il datore di lavoro ha poteri di gestione e non anche quando la regola prevenzionistica sia posta a beneficio precipuo del lavoratore”.
“È ben possibile che nell’evento sia concretizzato il rischio lavorativo anche se avvenuto in danno del terzo, ma ciò richiede che questi si sia trovato esposto a tale rischio alla stessa stregua del lavoratore”[10].
Ed anche a non considerare l’infortunato de quo come lavoratore occasionale dello spettacolo, sicuramente questi è stato esposto agli stessi rischi dei lavoratori, anzi ben ulteriori rispetto a questi ultimi, considerando le prove di natura fisica cui si sarebbe dovuto sottoporre.
La sentenza della Suprema Corte “richiede in positivo, condizioni come la presenza non occasionale sul luogo di lavoro o un contatto più o meno diretto e ravvicinato con la fonte di pericolo; e, in negativo, che non deve avere esplicato i suoi effetti un rischio diverso”.
Da ciò può ricavarsi il generale principio più sopra indicato in ordine all’aggravante del “fatto commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro”, sulla necessità della violazione di una regola cautelare tesa a elidere o ridurre lo specifico rischio.
Quest’ultimo si è concretizzato, nella vicenda in esame, in esito all’inosservanza di un precetto rivolto alla tutela della salute dei lavoratori e dei terzi.
Breviter, esso è scaturito dalla mancata verifica dell’altezza della vasca in cui si svolgeva la prova, nella quale era verosimile prevedere che i concorrenti sarebbero caduti, anche rovinosamente, nel tentativo di passare da un rullo in movimento, all’altro.
La corretta gestione del rischio sarebbe dovuta essere posta in essere dal datore di lavoro e non è stato fatto. L’accertamento di tale omissione sarebbe, in re ipsa, bastato ai fini del riconoscimento della prefata circostanza aggravante.
Passando ora alle altre due questioni, va rilevato quanto segue.
La definizione dell’esatto campo di applicazione della disciplina relativa ai “lavoratori dello spettacolo” risulta essere alquanto problematica.
Infatti, in materia, oltre a un intreccio di disposizioni normative e circolari ENPALS, su chi possa essere qualificato tale, vi è una ricca produzione giurisprudenziale.
I lavoratori dello spettacolo sono tutti quei soggetti che direttamente, indirettamente o con attività ausiliarie, davanti o dietro le quinte, contribuiscono alla realizzazione di uno spettacolo.
Peraltro manca nel nostro ordinamento una nozione univoca di spettacolo. Il Titolo V della Costituzione distingue tra beni culturali e attività culturali, ma non parla di spettacolo, concetto ricavabile dallo svolgimento di attività culturali che si svolgono in presenza di un pubblico[11].
Sia le fonti legislative che la giurisprudenza, infatti, hanno ricondotto nella definizione di “lavoratori dello spettacolo”, figure professionali le più varie, tra cui rientrano tutti coloro che, a vario titolo, partecipano alla sua realizzazione, come ad esempio i truccatori, i parrucchieri, i tecnici, i fonici.
I rapporti lavorativa instaurati possono essere di natura subordinata o autonoma e si distinguono in prestatori occasionali, che operano cioè in maniera sporadica e senza vincolo di continuità, rilasciano una ricevuta di prestazione occasionale soggetta a ritenuta d’acconto del venti per cento e non superano l’importo di Euro cinquemila al lordo della ritenuta; e in prestatori d’opera professionale, che devono avere la partita IVA, e sono in regime forfettario od ordinario, devono iscriversi alla gestione previdenziale GS o ex Enpals.
Sono, in concreto, considerati lavoratori dello spettacolo tutti i soggetti appartenenti alle categorie professionali dei musicisti, ballerini, cantanti, disc-jockey, etc., così come elencate in via esaustiva all’ art. 3, comma 1, del D.Lgs. Codice per lo Spettacolo, n. 708/1947, da ultimo integrato dal D.M. 15.03.2005[12].
Per quanto concerne il concetto di “luoghi di lavoro”, in applicazione dell’art. 62[13], comma 1, D.Lgs. n. 81/2008, fermo quanto disposto nel Titolo I ed unicamente ai fini dell’applicazione del Titolo II, si devono intendere i luoghi destinati a ospitare posti di lavoro, ubicati all’interno dell’azienda o dell’unità produttiva, nonché ogni altro luogo di pertinenza dell’azienda o dell’unità produttiva accessibile al lavoratore nell’ambito del proprio lavoro[14].
Il dovere del datore di lavoro si estende anche nei confronti dei lavoratori non dipendenti: la Cassazione osservava che in relazione alla “garanzia delle condizioni di sicurezza dell’ambiente di lavoro posta a carico dell’imprenditore, deve comunque puntualizzarsi che è vero che questa Corte ha in più occasioni affermato che l’art. 2087 c.c. riguarda esclusivamente il rapporto di lavoro subordinato, presupponendo l’inserimento del prestatore di lavoro nell’impresa del soggetto destinatario della prestazione (così Cass. n. 9614/2001, n. 8522/2004, n. 7128/2013).Tuttavia, la predisposizione di un ambiente salubre ed esente da rischi costituisce, a carico dell’imprenditore, un obbligo anche nei confronti del collaboratore coordinato che, per l’esecuzione del contratto, debba operare all’interno dell’impresa, da cui deriva una responsabilità di natura contrattuale, nonché una possibile responsabilità penale (cfr. in particolare Cass. Pen., n. 35534/2015, n. 42465/2010, n. 37840/2009)” (Cass. Civ., Sez. Lavoro, 2 dicembre 2015, n. 24538).
Infine, lo svolgimento di un’attività definita ludica, sul set di Ciao Darwin era sufficiente per escludere la responsabilità aggravata di R.T.I.?
Laddove l’attività è ludica per eccellenza, come i parchi giochi, la Quarta Sezione della Corte di Cassazione non l’ha mai esclusa.
Si pensi alla pronuncia n. 22843 del 2012, ove è stata confermata la responsabilità del gestore di un parco divertimenti per un incidente in cui un utente era rimasto gravemente ferito, sottolineando che il gestore aveva l’obbligo di garantire la sicurezza delle attrazioni e di informare adeguatamente i visitatori sui potenziali rischi.
Si consideri, ancora, la sentenza n. 2343 del 2013, in cui la Corte ha ribadito che i luoghi pubblici, come i parchi divertimenti, devono essere mantenuti in condizioni di sicurezza tali da prevenire infortuni ai visitatori.
Da ultimo, va citata la decisione n. 258435 del 2014, in cui è ribadito che le norme di sicurezza devono essere applicate non solo ai lavoratori, ma anche ai visitatori dei parchi divertimenti, ritenendo i gestori responsabili per la mancata adozione di misure preventive adeguate.
[1] Art. 590 c.p. Lesioni personali colpose:
“Chiunque cagiona ad altri per colpa una lesione personale è punito con la reclusione fino a tre mesi o con la multa fino a euro 309.
Se la lesione è grave la pena è della reclusione da uno a sei mesi o della multa da euro 123 a euro 619, se è gravissima, della reclusione da tre mesi a due anni o della multa da euro 309 a euro 1.239.
Se i fatti di cui al secondo comma sono commessi con violazione delle norme [sulla disciplina della circolazione stradale o di quelle] per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena per le lesioni gravi è della reclusione da tre mesi a un anno o della multa da euro 500 a euro 2.000 e la pena per le lesioni gravissime è della reclusione da uno a tre anni“.
[2] Con il comma 188 della Legge Finanziaria 2007 n° 296 , approvata in sede definitiva il 20.12.2006 e pubblicata in G.U. 27.12.2006, si introduce un particolare regime di esenzione dagli adempimenti ENPALS:
“188. Per le esibizioni in spettacoli musicali, di divertimento o di celebrazione di tradizioni popolari e folkloristiche effettuate da giovani fino a diciotto anni, da studenti, da pensionati e da coloro che svolgono una attività lavorativa per la quale sono già tenuti al versamento dei contributi ai fini della previdenza obbligatoria, gli adempimenti di cui agli articoli 3, 6, 9 e 10 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 16 luglio 1947, n. 708, ratificato, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 1952, n. 2388, non sono richiesti se la retribuzione annua lorda percepita per tali esibizioni non supera l’importo di 5.000 euro. Le minori entrate contributive per l’ENPALS derivanti dall’applicazione del presente comma sono valutate in 15 milioni di euro annui.”
[3] Art. 113 c.p. Cooperazione nel delitto colposo.
[4] L’art. 2 del D.Lgs. 81/2008 indica quali sono le figure coinvolte nella gestione della sicurezza aziendale e ne specifica il ruolo di ciascuna:
“a) lavoratore: persona che, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolge un’attività lavorativa nell’ambito dell’organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione, anche al solo fine di apprendere un mestiere, un’arte o una professione, esclusi gli addetti ai servizi domestici e familiari. Al lavoratore così definito è equiparato: il socio lavoratore di cooperativa o di società, anche di fatto, che presta la sua attività per conto delle società e dell’ente stesso; l’associato in partecipazione di cui all’articolo 2549, e seguenti del codice civile; il soggetto beneficiario delle iniziative di tirocini formativi e di orientamento di cui all’articolo 18 della Legge 24 giugno 1997, n. 196, e di cui a specifiche disposizioni delle leggi regionali promosse al fine di realizzare momenti di alternanza tra studio e lavoro o di agevolare le scelte professionali mediante la conoscenza diretta del mondo del lavoro; l’allievo degli istituti di istruzione ed universitari e il partecipante ai corsi di formazione professionale nei quali si faccia uso di laboratori, attrezzature di lavoro in genere, agenti chimici, fisici e biologici, ivi comprese le apparecchiature fornite di videoterminali limitatamente ai periodi in cui l’allievo sia effettivamente applicato alla strumentazioni o ai laboratori in questione; il volontario, come definito dalla Legge 1° agosto 1991, n. 266; i volontari del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e della protezione civile; il volontario che effettua il servizio civile; il lavoratore di cui al Decreto legislativo 1° dicembre 1997, n. 468, e successive modificazioni”.
[5] Non era la prima volta che la Corte di legittimità affermava l’estensione delle norme antinfortunistiche dettate a tutela dei lavoratori, anche ai terzi che si trovino nell’ambiente di lavoro, allorquando le lesioni o l’omicidio colposo dei medesimi derivino dalla loro violazione e sussista un legame causale tra la condotta del datore di lavoro e l’evento (cfr. Quarta Sezione, n. 32178/2020, n. 44142/2019, n. 2343/2013, n. 23147/2012, n. 2383/2005; in precedenza Quarta Sezione n. 9616/1991).
[6] cfr. Quarta Sezione, n. 32899 del 08.01.2021, in motivazione.
[7] Come previsto dall’art. 17 del D.Lgs. n. 81/2008 e sue modifiche ed integrazioni, uno degli obblighi che il datore di lavoro non può delegare è la designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione. Per responsabile del servizio di prevenzione e protezione si intende una persona in possesso delle capacità e dei requisiti professionali di cui all’art. 32 designata dal datore di lavoro, a cui risponde, per coordinare il servizio di prevenzione e protezione dai rischi (art. 2 del D.Lgs. n. 81/2008).
[8]L’art. 2 del Testo Unico definisce la “Valutazione dei rischi: valutazione globale e documentata di tutti i rischi per la salute e sicurezza dei lavoratori presenti nell’ambito dell’organizzazione in cui essi prestano la propria attività, finalizzata ad individuare le adeguate misure di prevenzione e di protezione e ad elaborare il programma delle misure atte a garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di salute e sicurezza“.
[9] L’art. 2 del D.Lgs. n. 81/2008 così definisce il preposto: “la persona che, in ragione delle competenze professionali e nei limiti di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell’incarico conferitogli, sovrintende alla attività lavorativa e garantisce l’attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa”.
[10] cfr. Quarta Sezione, n. 32899 del 08.01.2021.
[11] Nel 1959 poi con l’introduzione del Ministro del Turismo e dello Spettacolo è stata positivizzata la bipartizione tra spettacolo registrato, che comprende quello cinematografico e l’audiovisivo, e lo spettacolo dal vivo, che a sua volta raggruppa gli spettacoli teatrali, liriche concertistiche, musiche popolari, danza, circensi tradizionali e contemporanee, carnevali storici e rievocazioni storiche, spettacolo viaggiante, spettacolo popolare. Bipartizione ripresa con l’istituzione del FUS.
La differenza tra le due categorie non è solo nominale ma sostanziale, il primo è un settore omogeneo, il secondo è eterogeneo. E l’eterogenietà rende difficile una codificazione unitaria. Ma, tutte si inseriscono nel genus promozione della cultura, quindi, tutte sono componenti della materia attività culturali.
Lo scopo non è solo il divertimento di un pubblico colto ma soprattutto di contribuire alla formazione e crescita culturale della persona e quindi della collettività, favorendo anche l’integrazione e il contrasto al disagio sociale.
Lo spettacolo è fattore di crescita individuale, sociale e civile, occupazionale ed economico della comunità nazionale (la Corte Costituzionale, nella sentenza n. 285/2004, parla di industria culturale; il legislatore nel 2016 di industria cinematografica nazionale; dal 2017 lo spettacolo è componente dell’imprenditoria culturale e creativa; il PNRR ha stanziato otto miliardi di euro per turismo e spettacolo).
[12] Decreto 15 marzo 2005. Adeguamento delle categorie dei lavoratori assicurati obbligatoriamente presso l’Ente nazionale di previdenza ed assistenza dei lavoratori dello spettacolo (Gazzetta Ufficiale n. 80 del 7 aprile 2005).
[13] L’art. 62, comma 2, D.Lgs. n. 81/2008, ha cura di precisare che le disposizioni del Titolo II non sono applicabili:
(i) ai mezzi di trasporto;
(ii) ai cantieri temporanei o mobili;
(iii) alle industrie estrattive;
(iv) ai pescherecci;
(v) ai campi, ai boschi e agli altri terreni facenti parte di un’azienda agricola o forestale.
[14] Gli artt. 32, 35 e 41 della Carta costituzionale possono essere posti a fondamento del Titolo II.
Avv. Paola Calvano