Risarcimento danni da trasfusione di sangue infetto: Sezioni Unite sulla prova del nesso eziologico

(Nota di commento a Sentenza, Cass., SS.UU. civ., 6 luglio 2023, n. 19129)

La vicenda

A seguito di un accertamento sanitario, un uomo scopre di essersi contagiato col virus HIV, dopo circa quindici anni dalla trasfusione di sangue somministratagli in esito a un terribile incidente stradale.

Esperita domanda amministrativa, ai sensi della Legge n. 210/1992, la Commissione medica ospedaliera, designata ai sensi dell’art. 4 della citata legge, gli riconosce il nesso eziologico ai fini dell’erogazione del relativo indennizzo previsto dalla legge sui danni da sangue infetto ed emoderivati.

La successiva causa per risarcimento danni ex art. 2043 c.c., intentata contro il Ministero della Salute e la struttura sanitaria, materiale erogatrice dell’emotrasfusione, giunge sino al vaglio delle Sezioni Unite, in relazione al valore probatorio da attribuire al verbale della commissione medica che ha riconosciuto il nesso eziologico tra contagio e sangue trasfuso.

Orientamenti contrastanti sulla questione

Le Sezioni Unite si ritrovano a dover dirimere il contrasto giurisprudenziale tra due opposti orientamenti.

Ai sensi del primo, più risalente e autorevole, “il verbale redatto dalla Commissione, al di fuori del procedimento amministrativo nel quale si inserisce, ha il medesimo valore di ogni altro atto redatto da pubblico ufficiale e, pertanto, fa piena prova, ex art. 2700 cod. civ., dei fatti che la Commissione attesta essere avvenuti in sua presenza o dalla stessa compiuti, mentre non costituisce una prova legale quanto alle valutazioni, alle diagnosi, alle manifestazioni di scienza o di opinione, espresse dall’organo tecnico, che il giudice può apprezzare, senza, però, attribuire alle stesse il valore di vero e proprio accertamento” (sentenza Cass. Sezioni Unite Civili n. 577/2008).

Il secondo orientamento, per converso, chiarisce, nel caso in cui di giudizio per risarcimento danni contro il Ministero della Salute, visto che le parti sono le stesse del procedimento amministrativo ex lege n. 210 del 1992, e visto che la Commissione medica designata è organo del Ministero, allora l’accertamento medico è riconducibile a tutti gli effetti allo stesso Ministero, ed il giudice non può non ritenere “fatto indiscutibile e non bisognoso di prova” la valutazione medica sul nesso eziologico tra contagio e trasfusione unitamente al successivo provvedimento amministrativo di riconoscimento e liquidazione dell’indennizzo (ex plurimis, sentenze Cass. Civ. n. 15734/2018; n. 4795/2021; n. 15734/2021).

Decisione delle Sezioni Unite

Le Sezioni Unite decidono di aderire all’orientamento più risalente del 2008, sancendo il principio ivi espresso.

Di seguito, l’iter logico-giuridico.

Partendo dalla premessa distinzione tra la natura, meramente assistenziale e in qualche misura pubblicistica, del procedimento finalizzato all’erogazione dell’indennizzo previsto dalla Legge n. 210 del 1992, e la diversa ratio sottesa all’art. 2043 c.c. di cui all’intrapreso giudizio risarcitorio (danno aquiliano o da fatto illecito), i Giudici di legittimità conducono un ragionamento rigoroso ed ineccepibile.

Nell’azione aquiliana extracontrattuale, oltre al danno e al nesso eziologico, va provata anche l’elemento soggettivo (colpa o dolo), nel senso che ai fini della responsabilità sanitaria, va fornita la piena prova di aver o non aver, in concreto, adottato le cautele o omesso i controlli necessari sulla base delle conoscenze medico-scientifiche del momento.

L’indennizzo di cui alla Legge n. 210 del 1992, ferma restando la necessità di accertare lesioni e nesso, si può richiedere a prescindere dalla prova dell’elemento soggettivo, basandosi sul dovere di solidarietà sociale sancito nell’art. 2 della Costituzione.

Dunque, diviene essenziale comprendere quale sia l’efficacia probatoria degli accertamenti sanitari indicati nel verbale della commissione medica designata in sede di procedimento amministrativo ex art. 4 della Legge n. 210 del 1992.

Le Sezioni Unite, come detto, aderiscono al principio enunciato nella detta sentenza del 2008, in virtù del quale, al di fuori del procedimento amministrativo per la concessione dell’indennizzo di cui alla Legge n. 210 del 1992, al verbale della commissione medica si applica la disciplina di cui all’art. 2700 c.c.: quale atto redatto da pubblico ufficiale, fa piena prova dei fatti che la commissione attesta essere avvenuti in sua presenza, o essere stati dalla stessa compiuti, mentre le diagnosi, le manifestazioni di scienza o di opinione costituiscono materiale indiziario soggetto al libero e prudente apprezzamento del giudice il quale non può mai attribuire loro il valore di prova legale.

In breve, la valutazione sanitaria, svolta da strutture considerate esterne (le commissioni mediche) rispetto all’organizzazione del Ministero, contiene un’opinione tecnica e discrezionale, e quindi è meramente strumentale all’adozione del provvedimento amministrativo di liquidazione dell’indennizzo.

Le Sezioni Unite riconoscono invece maggiore valenza istruttoria a quest’ultimo provvedimento che benché promanante dal Ministero, non viene considerato alla stregua di una confessione stragiudiziale, ma come elemento indiziario forte, perché grave e preciso secondo il dettato del combinato disposto degli artt. 2727 e 2729 c.c., idoneo a provare, fino a prova contraria, il nesso eziologico tra contagio ed emotrasfusione infetta.

In pratica, il Ministero della Salute, per superare tale presunzione di prova (praesumptio iuris tantum), non può limitarsi a formulare una generica contestazione del nesso causale né ad invocare meramente la regola di riparto dell’onere probatorio stabilita ex art. 2697 c.c., ma è tenuto a fornire la prova contraria. Deve pertanto allegare e provare “specifici elementi fattuali non potuti apprezzare in sede di liquidazione dell’indennizzo o sopravvenute acquisizioni della scienza medica, idonei a privare la prova presuntiva offerta dal danneggiato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza che la caratterizzano”. Tale soluzione interpretativa non sembra condurre a nessuna inversione dell’onere della prova, che resta a carico del danneggiato, “perché la regola di giudizio qui enunciata attiene alla idoneità dell’elemento presuntivo a consentire inferenze che ne discendano secondo il criterio dell’id quod plerumque accidit, idoneità che va ritenuta, salva l’allegazione di contrari elementi specifici e concreti che rendano il primo inattendibile, sì da impedire che sullo stesso possa essere fondato il giudizio di inferenza probabilistica”.

Ed ancora, le Sezioni Unite chiariscono che l’eventuale accertamento del nesso eziologico fra emotrasfusione e contagio, contenuta nella sentenza che riconosca l’indennizzo di cui alla Legge n. 210 del 1992, è suscettibile di passaggio in giudicato e può essere utilizzata, a tutti gli effetti, quale giudicato esterno rispetto al successivo giudizio di risarcimento del danno ex art. 2043 c.c.

Conclusioni

Le Sezioni Unite, con la pronuncia in commento, hanno offerto chiarimenti di grande portata, ai fini delle modalità probatorie del nesso eziologico tra sangue infetto trasfuso e contagio da malattia infettiva.

Tre sono i principi di diritto rinvenibili:

a) Il verbale redatto dalla commissione medica designata ai sensi della Legge n. 210/1992, non assume valore confessorio, ma, quale atto redatto da pubblico ufficiale, fa piena prova ex art. 2700 c.c, dei fatti che la commissione attesta essere avvenuti in sua presenza o essere stati dalla stessa compiuti, mentre le diagnosi, le manifestazioni di scienza o di opinione costituiscono materiale indiziario soggetto al libero e prudente apprezzamento del giudice.

b) Il provvedimento amministrativo di liquidazione dell’indennizzo di cui alla citata legge, pur non integrando una confessione stragiudiziale, è elemento istruttorio grave e preciso, costituente prova presuntiva del nesso eziologico, avverso la quale il Ministero è tenuto a fornire la prova contraria, allegando specifici elementi fattuali non potuti apprezzare in sede di liquidazione dell’indennizzo o sopravvenute acquisizioni della scienza medica.

c) Il giudicato esterno, formatosi fra le stesse parti (danneggiato e Ministero della Salute) sul diritto alla prestazione assistenziale ex lege n. 210 del 1992, fa stato, nel successivo giudizio per risarcimento danno ex art. 2043 c.c., in relazione al nesso eziologico fra emotrasfusione e contagio, e come tale è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento.

I Giudici di legittimità, con grande rigore, in definitiva chiariscono che il nesso eziologico non è un fatto oggettivo, ma descrive “una relazione che lega un’azione o un’omissione ad una data conseguenza, che non si sarebbe verificata ove la condotta non fosse stata tenuta o l’azione doverosa non fosse stata omessa”.

Operando una distinzione tra i concetti di “causalità generale” (attitudine generale di una sostanza o di un’azione di provocare danni o malattie, considerando il rischio per le popolazioni in generale e non per singoli individui) e “causalità individuale o del singolo caso” (probabilità ragionevole che una specifica relazione eziologica si verifichi in un caso concreto), sottolineano che quest’ultima può essere provata anche per presunzione ex art. 2727 c.c. ove si riscontrino i requisiti della gravità, precisione e concordanza dettati dall’art. 2729 c.c.

Per riscontrare la sussistenza di un rapporto di causalità, in materia di responsabilità civile, il giudizio deve basarsi sulla prevalenza delle prove o dell’evidenza (preponderance of the evidence), cioè occorre esaminare quale sia la spiegazione “più probabile che non” rispetto alle alternative ipotetiche formulate, a differenza di quanto avviene nel giudizio penale nel quale, ai fini di una pronuncia di condanna, si esige la prova “oltre ogni ragionevole dubbio”. Ciò si traduce, in effetti, in un’analisi articolata e complessa di tutte le evidenze istruttorie, che impone la necessità di considerare anche le conoscenze scientifiche riguardo alla causalità generale, oltre agli elementi specifici e concreti, per dimostrare la sussistenza del nesso di causalità nel caso particolare.

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