ABSTRACT
Il presente lavoro contiene riflessioni, sulla sentenza n. 19129/2023 delle Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione Civile, in ordine all’omesso vaglio del cosiddetto giudicato esterno, che si forma cioè in altro giudizio rispetto a quello sentenziato e che opera dunque in relazione a processi diversi, ma instaurati tra le stesse parti, come nel caso che ci occupa.
Sommario
Introduzione
Con l’ordinanza n. 17070 del 20.06.2024 la Corte di Cassazione Civile è tornata a pronunciarsi sul giudicato esterno.
Merita allora di essere recuperata e riletta la sentenza delle Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione e n. 19129/2023, pubblicata il 06.07.2023, non tanto per le questioni di diritto decise, per le quali si è mantenuta in linea con il proprio orientamento.
Va piuttosto analizzata per le argomentazioni agitate dalle parti ed accuratamente evitate dalla Corte, come il fondamento giuridico posto alla base della rimessione dalla Sezione Semplice alle Sezioni Unite, di cui – nel caso di specie – la pronuncia appare carente, lasciando poi, almeno a una lettura prima facie, alla Corte di Appello di Roma, cui ha rinviato, il compito – non semplice – di applicazione del principio enunciato al caso concreto.
Il giudizio: riflessioni
Con la sentenza non definitiva n. 8172/12 del 03.04.2012, depositata il 23.04.2012, il Giudice Monocratico del Tribunale di Roma così decideva il giudizio proposto avverso la Clinica, il Ministero della Salute e la compagnia di assicurazioni (in liquidazione coatta amministrativa), avente per oggetto risarcimento danni da responsabilità professionale sanitaria, per emotrasfusione infetta:
1) Accerta la responsabilità civile del convenuto Ministero della Salute per la commissione dei fatti ed atti illeciti, ai sensi dell’art. 2043 c.c., nella raccolta e distribuzione a scopo trasfusionale del prodotto costituito dalla unità di sangue n. 900 somministrato al paziente nel corso del ricovero ospedaliero e del trattamento di terapia ospedaliera nel periodo 13.05.1988 presso la Clinica, documentati in atti, produttivi del danno biologico irreversibile accertato e derivato dalla trasmissione del virus HIV nel corso del suindicato trattamento sanitario, e condanna lo stesso Ministero della Salute, in persona del Ministro in carica, al risarcimento dei danni biologici, patrimoniali e non patrimoniali ai sensi degli artt. 2056-2059 c.c., in favore dell’attore, nella misura monetaria che sarà determinata nell’ulteriore corso del giudizio.
2) Rigetta la domanda di risarcimento promossa dall’attore nei confronti della convenuta Clinica e dichiara non esaminabile la domanda proposta da questa quale assicurata nei confronti della compagnia assicurativa in l.c.a.
3) Rimette le statuizioni sulle spese alla sentenza definitiva nei confronti del convenuto Ministero della Salute, e compensa gli oneri processuali nei confronti delle altre parti convenute e chiamate in causa.
Nella sentenza sopra citata, il G.M.:
sottolineava, tra le altre cose, come il Ministero della Salute, in sede di Commissione Medico-Ospedaliera (C.M.O.), non avesse individuato e dimostrato l’esistenza di altre vie del contagio[1];
indicava la metodologia per affermare come le trasfusioni fossero state l’unico strumento di contagio dell’HIV per il ricorrente[2];
escludeva altre cause di contagio, proprio sulla scorta dei criteri sopra indicati[3];
evidenziava come la tesi della CTU non poteva trovare accoglimento proprio perché in contrasto con i criteri scientifico, anamnestico, i dati cronologici, laboratoristi e i sintomi[4].
Con la sentenza definitiva n. 5260/13 del 01.03.2013 depositata l’11.03.2013, il Tribunale Ordinario di Roma, II Sezione Civile, confermava quanto detto nella sentenza non definitiva, quantificava il risarcimento del danno e condannava alle spese[5].
La sentenza di primo grado veniva impugnata dal Ministero della Salute e l’attore si costituiva spiegando appello incidentale.
Con sentenza n. 3113/19 del 26.03.2019, depositata il 13.05.2019, la I Sezione Civile della Corte di Appello di Roma confermava la sentenza di primo grado quanto all’an e accoglieva l’appello incidentale per il quantum[6].
In merito al nessuno causale[7], la Corte di Appello di Roma richiamava l’orientamento della Corte di Cassazione circa il valore di giudicato esterno nel caso di sentenza positiva nel giudizio contro il Ministero della Salute per chiedere e ottenere indennizzo ex lege n. 210/92[8].
La Corte di Appello aveva evidentemente avvertito l’esigenza di richiamare questa pronuncia della Cassazione in ragione del deposito da parte degli appellati, costituiti con appello incidentale, della sentenza resa dal Tribunale di Roma, Sezione Lavoro, nell’ambito del giudizio di riconoscimento dell’indennizzo ai sensi della Legge n. 210/92, in seguito a contagio da HIV per emotrasfusione infetta.
Nell’ambito di quel giudizio di primo grado, il CTU aveva riconosciuto il nesso causale tra la patologia e la emotrasfusione ma il G.M. aveva ritenuto – erroneamente – l’istante decaduto dal diritto vantato; la Corte di Appello aveva poi riformato la sentenza[9].
All’elaborato peritale del CTU, la difesa dell’appellato faceva riferimento sin dalla memoria di costituzione con appello incidentale nel giudizio di appello, dinanzi alla I Sezione Civile di Corte di Appello e poi nella memoria conclusionale ex art. 190 1° termine c.p.c.
La difesa aveva depositato la richiamata sentenza n. 6343/10 della Corte di Appello di Roma, Sezione Lavoro e Previdenza, e il Ministero della Salute non aveva mai contestato né la detta sentenza, né la CTU.
Avverso la sentenza n. 3113/2009 della Corte di Appello, il Ministero della Salute promuoveva ricorso in Cassazione, per chiederne l’annullamento, adducendo tra i motivi di gravame, come già accaduto in primo e secondo grado, l’assenza di valore probatorio del verbale del C.M.O., sebbene il ricorrente avesse ottenuto il riconoscimento dell’indennizzo previsto dalla Legge n. 210/92, ma su sentenza[10].
Con ordinanza interlocutoria n. 32077 del 31.10.2022, la III Sezione Civile della Corte di Cassazione rimetteva gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite al fine di risolvere il contrasto di giurisprudenza sull’efficacia probatoria, nel giudizio avente a oggetto l’azione di risarcimento del danno, della valutazione espressa, quanto al nesso causale fra emotrasfusione e insorgenza della patologia, dalla Commissione medica ospedaliera di cui all’art. 4 della Legge n. 210/1992.
Il Primo Presidente disponeva l’assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite.
Come noto, però, queste ultime sono chiamate a individuare non “un principio astratto, ma un principio che regge il caso, cioè del diritto applicato al caso“ – concreto, appunto – dal quale bisogna partire.
La ratio decidendi altro non è che “il rapporto fra la risoluzione (motivata) del caso e il “caso” stesso, cioè il “fatto” e le “questioni inerenti”… È normale, allora, che la Corte prenda le mosse dall’ipotesi specifica oggetto della decisione per scalare via via i gradini di una più generale enunciazione”[11].
E ancora, il rimettere la causa alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione[12] richiede come presupposto che, in quel giudizio trattato dalla Sezione Semplice che ne fa istanza, emerga concretamente una questione di diritto di particolare importanza sulla quale c’è contrasto tra le Sezioni e non è sufficiente la mera prospettazione, o ancor di più se questa appare ictu oculi pretestuosa o, comunque, erronea, in quanto non fondata sui presupposti di fatto tipici di tale eccezione[13].
In ogni caso, non è possibile operare la rimessione del casus juris alle Sezioni Unite, se si è formato un giudicato: la detta questione è preclusa, essendosi formato, sul punto, il giudicato interno[14]. Ragionando in senso inverso sarebbe incompatibile con il sistema delineato dall’art. 111 Cost., in particolare con il principio costituzionale della durata ragionevole del processo.
La decisione, continua il relatore, “….implica una pura relazione logica, che mantiene le sentenze pur sempre nel rango di decisioni su singoli casi: ciò sta a significare, per un verso, che le sentenze, sia le precedenti che la susseguente, si pongono quali decisioni di casi tra le quali viene stabilito un rapporto di riconoscimento… non nascono ex nihilo… ”
Secondo la norma generale, non si ritiene doverosa la rimessione ove il ricorso possa trovare autonoma soluzione in ragione della presenza di un concorrente motivo di annullamento del provvedimento impugnato[15].
Tale impostazione è a sua volta conforme al “principio di economia processuale e a esigenze di celerità e speditezza anche costituzionalmente protette e risponde a una rinnovata visione dell’attività giurisdizionale, intesa non più come espressione della sovranità statale ma come servizio reso alla collettività con effettività e tempestività, per la realizzazione del diritto della parte ad avere una valida decisione nel merito in tempi ragionevoli”[16].
Infatti “la sentenza, quale atto giuridico tipico, non ha il compito di ricostruire compiutamente la vicenda che è oggetto del giudizio in tutti i suoi aspetti giuridici, ma solo quello di accertare se ricorrano le condizioni per concedere la tutela richiesta dall’attore”[17][18].
Orbene, nel caso di specie, la III Sezione Civile della Corte di Cassazione, nell’ordinanza di rimessione errava nel presupposto.
Essa offriva una premessa narrativa del fatto storico non completa: il defunto ricorrente “il 27 aprile 2007 aveva presentato domanda di indennizzo in forza della l. 210/1992, accolta a seguito di verbale della C.M.O. del 1 aprile 2008″[19].
Per il vero, il ricorrente aveva chiesto l’indennizzo de quo a mezzo raccomadata a.r. al Ministero della Salute, venendo in seguito convocato per la vista medico legale, in esito alla quale, non avendo ricevuto riscontro alcuno, aveva presentato ricorso al Tribunale di Roma, definito con la sentenza del 23.03.2009[20].
Nel corso del giudizio di primo grado, il CTU riconosceva il nesso di causalità tra la patologia e le emotrasfusioni e poi il Giudice – erroneamente – riteneva il ricorso inammissibile per intervenuta – a suo dire – decadenza dal diritto.
Avverso tale decisione il ricorrente, poi defunto, proponeva ricorso in appello dinanzi alla Corte di Appello di Roma, Sezione Lavoro e Previdenza[21].
Nelle more, il ricorrente riceveva il Processo verbale della C.M.O. contenente il seguente giudizio: “SÌ” esiste nesso di causalità- “SÌ” la domanda è stata presentata tempestivamente – “Ascrivibilità alla 4^ Categoria della Tabella A allegata al D.P.R. 30.12.1981, n. 834”.
Il giudizio d’appello, però, continuava nonostante fosse intervenuto il verbale della C.M.O., positivo, perché la stessa aveva inserito la patologia nella categoria 4° della Tabella A, mentre, il CTU del Tribunale di Roma, l’aveva ascritta nella superiore categoria 1° della Tabella A.
Il defunto ricorrente aveva, in definitiva, ottenuto il riconoscimento dell’indennizzo con la sentenza della Corte di Appello di Roma n. 6343/2010[22].
La sentenza in parola era stata pronunciata nell’ambito del giudizio intercorso tra le stesse parti del presente ricorso in Cassazione: il ricorrente (ora gli eredi) e il Ministero della Salute. E non è mai stata oggetto di impugnazione da parte di quest’ultimo, formandosi così quel giudicato esterno su cui, qualche anno prima, poneva l’accento la stessa III Sezione Civile della Corte di Cassazione[23].
Nel caso di specie, la pretesa risarcitoria risultava essersi indirizzata nei confronti proprio del Ministero della Salute, dunque dello stesso soggetto già convenuto in giudizio per il riconoscimento dell’indennizzo, riscontrandosi, pertanto quella identità di parti che costituisce presupposto indispensabile perché possa ravvisarsi il fenomeno del giudicato esterno.
Manca, allora, quel caso concreto (riconoscimento tramite verbale della C.M.O.) che rappresenta l’antecedente logico-giuridico e pratico perché possa fare sorgere la questione di diritto (valore probatorio dei verbali della C.M.O., appunto) perché poi la questione potesse essere rimessa alle Sezioni Unite.
Probabile che la Sezione Semplice sia giunta alla decisione di rimettere la questione alle Sezioni Unite, perché fuorviata dal motivo di appello del Ministero della Salute, poi, riproposto in Cassazione. Sebbene l’appello fosse stato promosso il 06.06.2013, ossia quando la sentenza della Corte di Appello, Sezione Lavoro e Previdenza, che aveva riconosciuto il diritto all’indennizzo era già passata in giudicato e, pertanto, il Ministero, che aveva partecipato sia al giudizio di primo che al secondo grado di giudizio dinanzi alla Sezione Lavoro e Previdenza del Tribunale e poi Corte di Appello, non poteva non conoscere.
Ancora, di più fuorviata dal fatto che la Corte di Appello Civile di Roma, in risposta alle motivazioni agitate dal Ministro, aveva chiarito il valore dei verbali della C.M.O.[24]
Sia nella comparsa di costituzione con spiegato appello incidentale, però[25], sia nella memoria conclusionale del giudizio di appello[26] la difesa del ricorrente faceva riferimento alla relazione peritale del CTU di primo grado[27].
Così sempre la difesa del ricorrente depositava la sentenza della Corte di Appello di Roma, Sezione Lavoro e Previdenza, del 07.07.2010 e, sia sulla sentenza che sulla relazione peritale del CTU, il Ministero della Salute non prendeva posizione di diniego, anzi con e-mail dell’11.04.2014 chiedeva i documenti per procedere al pagamento.
Va rilevato che, dopo la riserva della causa in decisione, si avverava una “improvvisa sparizione” dell’intero contenuto della produzione di parte del ricorrente, dove era rimasto solo il foliario, per la qual cosa all’epoca venne sporta denuncia-querela contro ignoti. Da qui la necessità di ricostruirlo, ivi compresa la citata sentenza della Corte di Appello di Roma, Sezione Lavoro e Previdenza, n. 6343/2010.
Il Ministero della Salute, d’altro canto, continuava nella propria linea difensiva, non fornendo una narrazione completa dei fatti e ripetendo nel ricorso in Cassazione lo stesso motivo di appello circa il valore fidefaciente del verbale della C.M.O., nonostante il Giudice, sia in sede civile che quello in funzione di Giudice del Lavoro, avessero condotto una propria indagine peritale al fine di accertare il nesso di causalità[28].
Breviter, il Ministero della Salute perseveraba a fa credere che la decisione di prime cure, fosse basata sul verbale del C.M.O., cosa niente affatto rispondente al vero[29].
Il rifermento al verbale della C.M.O., nella sentenza di primo grado era solo un inciso, non era la ragione fondante della sua decisione, che “si basa invece sulla ordinaria metodologia medico-legale applicabile in materia e con precisione al criterio cronologico e al criterio patogeno, deponenti entrambi alla luce della successione temporale dei dati e degli elementi anamnestici acquisiti dalla documentazione sanitaria prodotta i quali attestano in forma univoca e incontestabile… pervenire in conformità alla metodologia di indagine medico-legale classica e consolidata ad un giudizio eziopatogenetico di esclusione della ipotesi formulata nelle conclusioni illustrate” dal CTU “sulla esistenza di una pluralità di fattori di contagio del virus HIV nel soggetto sottoposto a trasfusione nel 1998…“[30].
La Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con la pronuncia n. 19129/2023, si è pronunciata comunque sul valore del verbale della C.M.O., pur in mancanza, nel caso specifico, di un fatto concreto che richiedesse tale interpretazione, ribadendo come l’eccezione di giudicato esterno sia rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio[31].
Il tutto, aggiungendo: “a condizione che lo stesso (il giudicato esterno), risulti dagli atti di causa”[32].
Le Sezioni Unite hanno tuttavia evidenziato la particolarità del caso concreto[33]: “Senonché la peculiarità della fattispecie, nella quale, da un lato, la pronuncia gravata non fa cenno alla precedente iniziativa giudiziaria, dall’altro si assume anche che il fascicolo di parte sarebbe andato smarrito nel corso del giudizio e che detto smarrimento avrebbe reso necessaria la ricostruzione dello stesso, induce la Corte a rimettere al giudice del rinvio, al quale la causa deve essere rinviata in ragione della fondatezza del primo motivo di ricorso, anche l’accertamento sulla ritualità della produzione del giudicato nel giudizio di merito, preliminare rispetto alla valutazione sulla fondatezza dell’eccezione”.
Con ciò, rimettendo di fatto la soluzione – e non è detto in via definitiva – alla Corte di Appello di Roma.
Offrendo, ad ogni buon fine, una linea guida per il giudice del rinvio, per liberarsi dell’impasse derivante dalla sottrazione del fascicolo integrale dell’appellato costituitosi con appello incidentale, nel quale era contenuta anche la sentenza da cui deriva il giudicato esterno.
Quando afferma che, “sebbene il provvedimento amministrativo del diritto all’indennizzo ex legge n. 210 del 1992, pur non integrando una confessione stragiudiziale, costituisce un elemento grave e preciso da solo sufficiente a giustificare il ricorso alla prova presuntiva e a far ritenere provato, per tale via, il nesso causale, sicché il Ministero per contrastarne l’efficacia è tenuto ad allegare specifici elementi fattuali non potuti apprezzare in sede di liquidazione dell’indennizzo o sopravvenute acquisizione della scienza medica, idonei a privare la prova presuntiva offerta dal danneggiato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza che la caratterizzano.”
Si dovrà attendere però qualche anno per sapere cosa deciderà la Corte di Appello di Roma, dinanzi alla quale il giudizio è stato rinviato.
[1] v. pag. 9, 3° capoverso della sentenza n. 8172/12: “: “… Anzi i rilievi anamnestici emergenti dal verbale della C.M.O. di Roma, confermano che non sono state dimostrate altre verosimili vie di contagio e che la patologia nella espressione del giudizio eziopatolgico, è posta in diretto collegamento causale con il trattamento terapeutico di somministrazione del materiale ematico denunciato come fonte di contagio”.
[2] v. pag. 9 e 10, 4° capoverso della sentenza n. 8172/12: “Peraltro, al fine di potere ravvisare la esclusività del collegamento causale del contagio virale HIV avvenuto per via trasfusionale nell’organismo del paziente Lubrano Massimo all’epoca del trattamento sanitario terapeutico somministrato in regime di ricovero ospedaliero nel 1988, si deve ricorrere alla ordinaria metodologia medico-legale applicabile in materia e con precisione al criterio cronologico e al criterio patogenetico, deponenti entrambi alla luce della successione temporale dei dati e degli elementi anamnestici acquisiti dalla documentazione sanitaria prodotta i quali attestano in forma univoca e incontestabile che le manifestazioni cliniche della infezione della lue derivante da una modalità di contagio in prevalenza determinato da atti sessuali di contatto con superfici cutanee delle mucose del soggetto trasmittente portatore della malattia sono da escludere.”
[3] v. pag 10 e 11 della sentenza n. 8172/12: “…si deve pervenire in conformità alla metodologia di indagine medico-legale classica e consolidata ad un giudizio eziopatogenetico di esclusione della ipotesi formulata nelle conclusioni illustrate dal consulente d’ufficio dr.ssa Perani sulla esistenza di una pluralità di fattori di contagio del virus HIV nel soggetto sottoposto a trasfusione nel 1998, in ragione della accertata manifestazione clinica dell’infezione HIV di tipo asintomatico emergente da dati laboratoristici conosciuti dal paziente già nell’anno 1991 di positivizzazione coincidenti con il periodo della prima stadiazione della siero conversione, in coincidenza con un ricovero imposto dalla insorgenza delle delle manifestazioni cliniche di una epatite B con ittero negli anni 1990/1991, come risulta dalle annotazioni trascritte di anamnesi patologica remota delle cartelle cliniche depositate in atti. Ora se si considera che le manifestazioni cliniche della insorgenza della infezione a trasmissione sessuale della patologia venerea sono successive di almeno due anni e che la stadiazione di comparsa delle macchie della seconda fase contempla un periodo temporale massimo dal contagio di sei mesi, si deve definitivamente escludere ogni possibilità di contagio sessuale per la trasmissione del virus HIV già presente nell’organismo per la positivizzazione della fase di sieroconversione la cui estensione temporale si può protrarre anche per diversi anni e certamente riferibile al trattamento trasfusionale certamente somministrato nel 1988”.
[4] v. pag. 11 della sentenza n. 8172/12: “Di conseguenza si deve andare di contrario avviso rispetto alle opinioni espresse in materia dal consulente d’ufficio le quali si pongono in contrasto con la corretta metodologia medico-legale, ed evidenziano una contraddittorietà sia sotto il profilo scientifico e anamnestico, alla luce della cronologia accertata della sequenza delle manifestazioni cliniche e sintomatologiche e laboratoristiche della ricostruzione del caso clinico in esame.”
[5] “1) Accerta la responsabilità civile del convenuto Ministero della Salute per la commissione di fatti ed atti illeciti, ai sensi dell’art. 2043 c.c., nella raccolta e distribuzione a scopo trasfusionale del prodotto costituito dalla unità di sangue intero somministrata al paziente nel corso del ricovero ospedaliero e della esecuzione di trattamento sanitario di terapia emotrasfusionale nel periodo di ricovero in regime ospedaliero in data 13.05.88, presso la Clinica S. Anna, documentato in atti, produttiva del danno biologico irreversibile accertato derivato dalla trasmissione per via parentale del virus HIV nel corso del suindicato trattamento sanitario, e condanna lo stesso Ministero della Salute, in persona del Ministro in carica, al risarcimento dei danni biologici, patrimoniali e non patrimoniali ai sensi degli artt. 2056-2059 c.c., in favore dell’attore nella misura monetaria determinata in forma attuale comprensiva di rivalutazione monetaria ISTAT e interessi di legge ai sensi dell’art. 1284 c.c., con esclusione di anatocismo, di euro = 651.994,82. 3) Condanna, altresì, il convenuto Ministero della Salute al pagamento degli oneri processuali all’attore Lubrano Massimo, in misura di euro 360,00 per esborsi, euro 20.250,00 per compensi professionali forensi, ai sensi del D.M. n. 140/2012, oltre a oneri di c.t.u. anticipati e liquidati, epa e iva di legge, con distrazione al procuratore antistatario.”
[6] “-rigetta l’appello principale proposto dal Ministero della Salute;
-in accoglimento dell’appello incidentale proposto dagli eredi dell’appellato, condanna il Ministro della Salute al pagamento in loro favore, pro quota ereditaria, della somma di € 926.688,62 oltre, a decorrere dall’ottobre 2004, al pagamento degli interessi legali sulla somma indicata previamente devalutata all’ottobre 2004 e successivamente via via rivalutata annualmente secondo gli indici Istat;
-condanna il Ministero appellante a rifondere agli appellati le spese del presente giudizio di appello che si liquidano, in complessivi € 20.000,00 oltre Iva, C.a.p. e rimborso forfettario spese generali, spese da distrarsi queste ultime in favore dell’avvocato antistatario per dichiarato anticipo.
-Dichiara inammissibile l’appello incidentale proposto da parte appellata nei confronti della Casa di Cura S. Anna;
-Compensa integralmente le spese del presente giudizio sia tra gli appellanti incidentali e la Casa di Cura Sant’Anna sia tra quest’ultima e la liquidazione coatta amministrativa della First Italiana Assicurazioni.”
[7] v. pag. 8 e 9 della sentenza n. 3113/1.
[8] “…Sempre la Suprema Corte in applicazione del principio enunciato con altra pronuncia (Cass. Sez. 3 – ordinanza n. 24523 del 05.10.18) affermava che la pronuncia di cessazione della materia del contendere, emessa nel giudizio intentato contro il Ministero della Salute per il riconoscimento dell’indennizzo di cui alla l. n. 210 del 1992, sul presupposto dell’accoglimento del ricorso amministrativo avverso il corrispondente diniego, ha efficacia di giudicato, circa la sussistenza del nesso causale tra le trasfusioni praticate al paziente e la patologia dallo stesso contratta, nel successivo giudizio di risarcimento del danno promosso contro il Ministero della Salute, sussistendo l’identità di parti che costituisce presupposto indispensabile per la configurazione del giudicato esterno.”
[9] v. pag. 3 della sentenza n. 6343/10: “Il giudice di primo grado ha proceduto a consulenza tecnica d’ufficio, la quale accertava che il ricorrente è affetto da HIV cat. C/3 in connessione causale con la trasfusione di sangue del 1988: che la patologia conseguente era da ascriversi alla tabella A1° categoria di cui alle tabelle 915/78. Il Tribunale ha tuttavia ritenuto sussistere la decadenza di cui all’art. 3 della legge predetta poiché risultava che già nel ’91 il Lubrano fosse a conoscenza dell’infezione da HIV. Sul punto il motivo di gravame proposto dall’appellante è fondato.”
[10] La n. 6343/10 della Corte di Appello di Roma, Sezione Lavoro e Previdenza, NRG 42599/10 del 07.07.10 – 14.09.10.
[11] Questo affermava il 30 novembre 2018 il Consigliere di Cassazione dott. Gaetano De Amicis, quale relatore nel corso dell’Incontro di studi organizzato dalla S.S.M. – Struttura della formazione decentrata presso la Corte di Cassazione dal titolo “La formulazione del principio di diritto e i rapporti tra Sezioni semplici e Sezioni Unite penali della Corte di Cassazione”.
[12] Ai sensi dell’art. 374 c.p.c.
[13] Cass. n. 12561 del 2004; Cass. n. 3185 del 1977
[14] Come affermato dalle stesse SS.UU. con la sentenza 9 ottobre 2008, n. 24883
[15] v. Corte di Cassazione, Sez. 1, n. 17850 del 12/01/2017, Castriotta, Rv. 270298, che in motivazione ha richiamato il cosiddetto principio della “ragione più liquida”
[16] Cass. Civ. 3° Sez., sent. n. 30507/23: “Il principio della “ragione più liquida” si traduce soltanto in una deroga dell’ordine di trattazione delle questioni, come desumibile dall’art. 276 c.p.c., ma, non può certo snaturare il carattere demotivo del sindacato demandato al giudice d’appello. Invero, il suddetto principio risulta “desumibile dagli artt. 24 e 111 Cost., secondo cui la causa può essere decisa sulla base della questione ritenuta di più agevole soluzione, anche se logicamente subordinata, senza necessità di esaminare previamente le altre, imponendosi, a tutela di esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, un approccio interpretativo che comporti la verifica delle soluzioni sul piano dell’impatto operativo piuttosto che su quello della coerenza logico sistematica e sostituisca il profilo dell’evidenza a quello dell’ordine delle questioni da trattare ai sensi dell’art. 276 c.p.c. (tra le molte, Cass. Sez. Lav., ord. del 20 marzo 2020, n. 9309).”
[17] v. Corte di Cassazione, Sez. 1, n. 17850 del 12/01/2017, Castriotta, Rv. 270298, già citata nella nota n. 5.
[18] Cass. Civ. 3° Sez., sent. n. 30507/23: “Si è in particolare, osservato che se l’art. 276 c.p.c. “non prevede alcun ordine di trattazione per le varie questioni di merito (sicché il giudice resta libero di esaminare per prima quella che ritiene, come è d’uso dire, più “liquida”), stabilisce una gerarchia rigorosa tra l’esame di quelle di merito, stabilendo che vengano affrontare e risolte le questioni pregiudiziali proposte dalle parti o rilevabili d’ufficio. (così, in motivazione, Cass. Sez. 6-3, ord. 26 novembre 2019, n. 30745, Rv. 656177 – 02)”
[19] v. pag. 3 capoverso 1° dell’ordinanza di rimessione.
[20] a pag. 2 dice: “con comunicazione del 12.07.2006 il Dipartimento di Medicina Legale dell’ASL l’aveva invitato a visita istruttoria per il 13.09.2006; che, eseguita la visita nel giorno prefissato, non aveva più ricevuto alcuna comunicazione”.
[21] Rubricato al NRGL 6983/09.
[22] A pag. 2 della sentenza n. 6343/10 della Corte di Appello di Roma, NRG 42599/10 del 07.07.10 depistata il 14.09.10, si legge: “Nel merito si osserva che il ricorrente aveva presentato l’istanza amministrativa per l’indennizzo ex legge 210/92 in data 13/04/06 – alla quale non era seguito alcun provvedimento – in ragione del fatto che a seguito di emotrasfusione nel maggio ’88 presso Casa di Cura convenzionata, gli era stata successivamente diagnosticata infezione da HIV in occasione di ricovero ospedaliero del settembre ’04”. Nel corso del giudizio di primo grado, come detto, il Giudice aveva proceduto a nominare un consulente tecnico di ufficio che aveva riconosciuto il nesso causale ma, poi, il Tribunale di Roma aveva ritenuto – erroneamente – decaduto l’istante dal diritto vantato, sentenza di primo grado che è stata appunto riformata dalla Corte di Appello di Roma il 14.09.10 e, nella stessa si legge: “Il giudice di primo grado ha proceduto a consulenza tecnica d’ufficio, la quale accertava che il ricorrente è affetto da HIV cat C/3 in connessione causale con la trasfusione di sangue del 1988; che la patologia conseguente era da ascriversi alla tabella A 1° categoria di cui alle tabelle 915/78. Il Tribunale ha tuttavia ritenuto sussistere la decadenza di cui all’art. 3 della legge predetta poiché risultava che già nel ’91 il ricorrente fosse a conoscenza dell’infezione da HIV. Sul punto il motivo di gravame proposto dall’appellante è fondato”. (v. pag. 3 della sentenza n. 6343/2010 della Corte di Appello di Roma, Sezione Lavoro e Previdenza)
[23] v. Ord., (ud. 09-01-2018) 05-10-2018, n. 24523: “Corretto risulta l’assunto dei ricorrenti, condiviso dalla Procura Generale presso questa Corte, secondo cui la pronuncia n. 23/06 del Tribunale di Vicenza – resa all’esito del giudizio per il rico-noscimento dell’indennizzo di cui alla L. n. 210 del 1992 – presenta efficacia di “giudicato esterno” circa la sussistenza del nesso causale tra gli interventi trasfusionali praticati alla S. e la patologia dalla stessa contratta e all’origine del suo decesso”.
[24] v. pagg. 8 e 9 della sentenza n. 3113/19 della Corte di Appello di Roma.
[25] v. pag. 36 della comparsa di costituzione con spiegato appello incidentale da parte del ricorrente – appellato con spiegato appello incidentale.
[26] v. pag. 29 della memoria conclusionale ex art. 190 c.p.c.1° termine del ricorrente – appellato con spiegato appello incidentale.
[27] “Ricordiamo che il Prof. CTU ha riconosciuto al ricorrente nell’elaborato peritale che abbiamo depositato, relativo al giudizio NRGL 221333/07 Tribunale di Roma, Giudice dott. Cirignotta, ℅ Ministero della Sa-lute relativo all’indennizzo ex l. 210/92, un danno permanente nella misura del 100%”.
[28] Rispettando così il dettato della Cass. civ. Sez. III, Ord., (ud. 30-11-2017) 20-03-2018, n. 6843.
[29] Basta leggere in proposito da pag. 10 e ss. della sentenza n. 172/12 dove dice chiaramente che le conclusioni del consulente d’ufficio si pongono in contrasto con la corretta metodologia medico-legale, e evidenziano una contraddittorietà sia sotto il profilo scientifico e anamnestico, alla luce della cronologia accertata della sequenza delle manifestazioni cliniche e sintomatologie e laboriatoriali della ricostruzione del caso clinico in esame (v. pag. 11 della sentenza n. 172/12) e si dilunga sulle spiegazioni del contrasto evidenziando come le diverse modalità di trasmissione prospettate dal consulente d’ufficio dott. D. Perani siano solo ipotesi possibilistiche, prive di qualsiasi riscontro storco diagnostico, anamnestico e diagnostico (v. pag. 9 della sentenza n. 172/12).
[30] v. pag. 10 della sentenza n. 172/12.
[31] Esso, al pari di un giudicato interno, è rilevabile d’ufficio anche nell’ipotesi in cui il giudicato si sia formato successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata (Cass. SS. UU. n. 13916/2006; Cass. 7 ottobre 2010, n. 20802; Cass. 15 aprile 2011, n. 8614; Cass. n 6102 del 17 marzo 2014; Cass. n. 11365 del 01 giugno 2015; Cass. 5 maggio 2016, n. 9059). Le Sezioni Unite della Cassazione con sentenza n. 226 del 25.5.2001, hanno composto il contrasto tra la rilevabilità officiosa o meno dell’eccezione di giudicato esterno, che in numerose pronunce veniva distinta dall’eccezione di giudicato interno, applicando il principio generale accolto dalla Cass., Sez. Un., 1099/1998, concludendo per la piena rilevabilità officiosa non solo per il giudicato interno ma anche per quello esterno. Così come non occorre la certificazione del passaggio in giudicato quando non vi sia contestazione.
[32] v. pag. 25 della sentenza Sezioni Unite n. 19129/2023, pubblicata il 06/07/2023.
[33] v. pag. 23 della sentenza Sezioni Unite n. 19129/2023, pubblicata il 06/07/2023.
Avv. Paola Calvano