ABSTRACT: Il presente studio illustra succintamente l’istituto dell’abuso del diritto nell’ambito del diritto civile e tributario, con una ricostruzione evolutiva, dalle origini e sino alle recenti applicazioni nell’ambito del diritto processuale, nel quale ha assunto una ben definita collocazione, con un inquadramento normativo di natura sanzionatoria, con funzione deflattiva del contenzioso intesa a reprimere l’abuso del processo. Il lavoro è diviso in tre parti (I: L’abuso nel diritto civile; II: L’abuso nel diritto tributario; L’abuso del processo), per una più agevole lettura e comprensione.
This study succinctly illustrates the concept of abuse of rights within civil and tax law, with an evolutionary reconstruction from its origins to recent applications in procedural law, where it has assumed a well-defined position with a regulatory framework of a sanctioning nature, aimed at reducing litigation by repressing the abuse of process. The work is divided into three parts (I: The abuse in civil law; II: The abuse in tax law; III: The abuse of process) for easier reading and understanding.
PARTE PRIMA – L’abuso nel diritto civile
Sommario: 1. Introduzione – 2. La nozione di abuso di diritto – 3. Dal diritto romano all’epoca moderna – 4. La nozione normativa dell’abuso di diritto – 5. La codificazione italiana – 6. L’abuso del diritto nella giurisprudenza e nella dottrina come affermazione del diritto quale “ars boni ed equi” – 7. Le principali figure di abuso di diritto presenti nel codice civile – 8. L’elaborazione della giurisprudenza – 9. I rimedi esperibili in presenza di un abuso di diritto – 10. Evoluzione della categoria in ambito tributario e processuale: rinvio
1. Introduzione
Il diritto oggettivo è l’insieme delle norme, degli istituti e delle istituzioni, intesi come un complesso sistema, che ha la fondamentale funzione di regolare i conflitti egoistici tra gli esseri umani che vivono in comunità, in relazione alla produzione della ricchezza e alla sua distribuzione. È quindi un “male necessario“, perché la sua mancanza porterebbe al caos e alla moltiplicazione dei contrasti, e deve, pertanto, assumere una connotazione autoritaria, con l’esercizio del potere di “regolamentare” le situazioni soggettive riconosciute (diritti soggettivi) e di risolvere le situazioni conflittuali (attraverso il processo). Accanto a questa prima connotazione “formale” è comunque presente, almeno negli ordinamenti cosiddetti evoluti e democratici, una valenza di natura etica, che garantisce un equilibrio tra coloro che esercitano il potere e coloro che ne sono soggetti, al fine di evitare eccessi, ovvero gli abusi dei compiti e delle funzioni.
Sin dal suo sorgere in senso compiuto, la funzione del diritto è stata così definita: “Iustitia est constans et perpetua voluntas ius suum cuique tribuendi. Iuris praecepta sunt haec: honeste vivere, alterum non laedere, suum cuique tribuere (Digesta: 1.1.10 pr.).1
In tale ottica il concetto di “abuso di diritto” assume un’importanza rilevantissima, perché è lo strumento esterno che pone un limite agli eccessi, e si manifesta ogni qual volta l’agire devia dagli scopi per cui il diritto soggettivo è sorto e riconosciuto al singolo individuo. È questa la chiave di volta che ha guidato la costruzione dell’istituito e la sua interpretazione, antica e moderna.
Il dibattito è stato caratterizzato dal contrasto tra l’opinione dominante e tradizionale in base alla quale una volta che viene riconosciuto un diritto ogni condotta intesa al suo esercizio debba ritenersi legittima (qui iure suo utitur neminem laedit) e quella alternativa che si focalizza intorno al brocardo: summum ius summa iniuria.
All’interprete si pone il compito di elaborare il contenuto del potere di sindacato da parte del giudice sul modo di utilizzo di un diritto una volta riconosciuto. La soluzione è dipesa ed è variata in relazione all’evoluzione sociale e politica e ha risentito della visione del mondo seguita. Si è avuta un’alternanza tra una concezione meramente borghese di stampo capitalistica, ma liberale, e una in cui prevale l’aspetto sociale e solidaristico che deve legare i consociati che appartengono a un determinato ordinamento giuridico, in un particolare momento storico.
L’attuale dibattito è caratterizzato dalla prevalenza dell’opinione che vede l’abuso di diritto come uno strumento centrale per la soluzione di antiche problematiche giuridiche, tra cui l’enorme mole di contenzioso arretrato. E, una volta riconosciuto il potere del giudice di giudicare l’esercizio del diritto soggettivo in capo ad un soggetto, sorge il problema di stabilire un limite a tale potere. Si discute, quindi, soprattutto nell’ambito del diritto processuale, se sia ipotizzabile un relativo abuso da parte del giudicante, inteso come una “strumentalizzazione” dei poteri, e quali rimedi siano esperibili.
Da ultimo si mostra insofferenza, ad esempio, verso l’uso smodato e formalistico della Cassazione di dichiarare l’inammissibilità dei ricorsi per violazione del principio di autosufficienza e tipicità, con frequenti condanne per responsabilità aggravata nelle ipotesi di prospettazione di orientamenti contrastanti con l’interpretazione nomofilattica vigente, per scongiurare un “abuso del processo”.
Più in generale la critica che viene rivolta alla Suprema Corte è quella emettere in maniera preponderante (oltre il 50% delle decisioni) pronunciamenti in rito, per vizi attinenti al mancato rispetto di un rigido formalismo. Questo delicato aspetto della questione sarà ampiamente trattata nella terza parte di questo lavoro.
Come si vede l’abuso del diritto è un argomento che racchiude in sé tutto il dibattito sul senso del diritto.
2. La nozione di abuso di diritto
La natura giuridica dell’abuso del diritto è apparsa originariamente in maniera evanescente, quale principio astratto e generale, non esprimente un comando o un divieto, con relativa sanzione (coattiva), bensì, come è in genere per i principi giuridici, un precetto vuoto, che è stato via via riempito di contenuti.2 L’istituto va esaminato in relazione alla sua connotazione semantica. Il termine “abuso” deriva dal latino abusus, “abuso, spreco”, participio perfetto di abutor (da abuti): “consumato, sprecato, abusato”. È preceduto dal prefisso ” ab” con significato di allontanamento da qualcosa, e “utor“, infinito presente di “uti“, “uso, impiego”.
Per cui alla lettera significa “allontanamento dall’uso (funzione) comune“. E, qui, dunque ritorniamo a quanto detto in premessa circa il “deviare” dallo scopo del diritto. Ogni qual volta ci si allontana dall’honeste vivere, alterum non laedere, suum cuique tribuere, siamo in presenza di un abuso del diritto.
A secondo del soggetto, si ha abuso di potere da parte di chi è destinato ad applicare il diritto, ovvero abuso di diritto in senso stretto da parte del titolare di una situazione giuridica tutelata (diritto soggettivo).
Il dibattito dottrinale e giurisprudenziale è stato incentrato sulla costruzione del “divieto di abuso di diritto“, come violazione dei principi soprattutto di correttezza e buona fede, oggi rafforzati dal dovere di solidarietà sociale (art. 2 Cost.) e allo sforzo di delineare un contenuto normativo di quello che originariamente era solo un principio etico.
3. Dal diritto romano all’epoca moderna
La romanistica ha sempre escluso l’esistenza della categoria dell’abuso del diritto3 come concetto normativo ben definito, ma ne ha colto l’aspetto embrionale nel rispetto del divieto del “neminem laedere“, insito nelle varie azioni a tutela dell’agire doloso (actio ed exceptio doli).
In verità già prima il problema di un limite all’esercizio del diritto era stato posto da Platone e Aristotele, che invocarono l’Equitas come criterio guida, che poi nell’esperienza del diritto romano venne individuato nel concetto di Bona Fides.
Il diritto romano riservò particolare attenzione al divieto di compiere atti emulativi, intesi come comportamenti che non avessero altra utilità se non quella di arrecare danno ad altri.
In epoca medievale si concentrò l’attenzione al concetto di “uso abnorme” del diritto, come agire formalmente lecito ma che deviava dal fine istituzionale, ravvisandolo, ad esempio, nell’uso capzioso di norme e provvedimenti finalizzati a eludere obbligazioni assunte. Nell’età moderna si delinea il concetto di abuso di diritto, quale uso strumentale dei mezzi che l’ordinamento concede al soggetto, per realizzare un risultato diverso o ulteriore, da ritenersi non meritevole di tutela.
4. La nozione normativa dell’abuso di diritto
L’epoca delle codificazioni segna la nascita dell’istituto dell’abuso del diritto, che trova una prima sistemazione normativa ben chiara, come “clausola o principio generale”. Parallelamente al limite che veniva imposto all’esercizio del potere da parte dello Stato assolutistico, con il riconoscimento delle libertà individuali, si pose il problema di limitare il potere del cittadino nell’esercizio dei diritti riconosciuti. In ambito privatistico, dunque, doveva risolversi la questione del corretto utilizzo dei poteri che costituivano il contenuto del diritto soggettivo.
Merito particolare spetta alla giurisprudenza francese che elaborò il nucleo essenziale del moderno “abus de Droit”, mentre l’ordinamento tedesco e svizzero elaborarono le prime norme che delineavano l’istituto come clausola generale e principio astratto.
Ma sin dall’inizio il percorso verso il riconoscimento di un principio generale regolatore del diritto soggettivo ebbe difficoltà ad affermarsi, poiché si temeva che nelle applicazioni concrete era difficile definire quando la condotta dei soggetti dovesse essere non consentita (perché deviatrice), e si temeva l’arbitrio del giudice in materia. Si preferì, rispetto alla codificazione di una norma astratta che enunciasse un principio generale vuoto di difficile definizione, la previsione di condotte tipiche e specifiche, di cui se ne statuiva il divieto in quanto costituenti “abuso del diritto”, intese come condotte non meritevoli di tutela.
5. La codificazione italiana
L’ordinamento italiano non arrivò mai a formulare una definizione di abuso di diritto, sia nel codice civile del 1865 che in quello del 1942, introducendo, invece, una serie di fattispecie singole, denotanti abuso di diritto, ma senza una precisa descrizione.
Invero, in sede di elaborazione del codice del 1942 era stata paventata la possibilità di introdurre una nozione di abuso di diritto generale ed astratta, con la seguente definizione: “Nessuno può esercitare il proprio diritto in contrasto con lo scopo per cui il diritto medesimo gli è conferito” (art. 7 progetto preliminare).
Tal formulazione poneva l’accento sull’aspetto del divieto e prospettava la compilazione di una norma generale ed astratta, seppure in una visione patrimonialista del diritto. Ma la norma non venne coniata e furono codificate una serie di fattispecie tipiche, tra cui la più importante fu il divieto di compiere atti emulativi nell’esercizio del diritto di proprietà (art. 833 c.c.) Si deve, invece, alla successiva elaborazione giurisprudenziale e dottrinale il merito di elaborazione compiuta dell’istituto.
6. L’abuso del diritto nella giurisprudenza e nella dottrina come affermazione del diritto quale “ars boni ed equi”
La previsione di una serie di fattispecie di “abusi di diritto” presenti nel codice civile del 1942 era comunque espressione di una visione meramente borghese del diritto.
L’avvenuto della Costituzione e del Diritto Comunitario hanno inciso profondamente sull’interpretazione del diritto civile, anche in relazione all’evoluzione culturale, sociale ed economica della società.
Il codice del 1942 era sorto per una società in cui era ancora predominante il ruolo della proprietà fondiaria e la famiglia patriarcale; di qui la rilevanza degli istituti civilistici della proprietà e delle successioni, mentre lo sviluppo delle moderne economie non trovava adeguata disciplina codicistica ed era assente ogni attenzione ai diritti e libertà delle persone, con privilegio assoluto dei diritti a contenuto patrimoniale.
Quel codice sorto prima della seconda guerra mondiale, dopo la conclusione del conflitto e con l’avvento della Costituzione, era già diventato vecchio e non adeguato.
Tuttavia, invece di una nuova codificazione, l’elaborazione giurisprudenziale e dottrinaria hanno proceduto ad un’interpretazione riformatrice delle norme, di tipo evolutivo, in relazione nuovi valori emergenti. La dottrina, innanzitutto, seguita dalla giurisprudenza, hanno così elaborato una lettura del diritto civile alla “luce della legalità costituzionale” 4 e, successivamente di quella comunitaria e della CEDU (Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo), superando gli angusti limiti del diritto domestico.
Una rilevanza particolare riveste il principio solidaristico espresso dalla seconda parte dall’art. 2 della Cost., che impone l’obbligo di “adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale“.
Il dovere inderogabile della solidarietà è il canone delle moderne società, e fa sì che l’individuo non sia più un’entità isolata, egoisticamente affaccendato alla tutela dei suoi diritti patrimoniali, in perenne conflitto con i suoi simili e meglio realizza il principio generale di garantire una convivenza sociale fondata sull’honeste vivere, alterum non laedere, suum cuique tribuere, di cui abbiamo accennato ad inizio di questo lavoro.
Ed ecco che l’abuso del diritto diventa un essenziale corollario dell’antico brocardo appena ricordato, che è l’espressione del vero senso del diritto.
L’istituto è stato elaborato come un “limite esterno all’esercizio di un diritto”, che operaquando, mancando una specifica determinazione delle modalità attuative, il titolare attua condotte per realizzare scopi diversi o ulteriori rispetto a quelli previsti dalla norma.
Posta questa definizione si pone il problema di stabilire secondo quali criteri gli scopi diversi o ulteriori (costituenti appunto l’abuso) non siano meritevoli di tutela ed in base a quali principi.
La giurisprudenza e la dottrina hanno individuato delle norme e principi che costituiscono i criteri per verificare nel caso concreto il verificarsi di un abuso di diritto.
Un primo criterio orientativo viene ravvisato nel principio di solidarietà sociale ex art. 2 Cost., che lega tutti i consociati e pone un limite a tutte quelle condotte che permettano un sacrificio o un vantaggio sproporzionati tra gli opposti interessi.
Altro criterio è quello dell’osservanza della clausola generale della buona fede e della correttezza, che costituiscono principi immanenti all’ordinamento giuridico, e sono il metro per valutare la meritevolezza della condotta tenuta.
Un ulteriore limite viene individuato nell’art. 41 Cost., che sancisce che il principio di libera iniziativa economica non possa svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare un pregiudizio alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana.
In ambito comunitario va ricordato che l’art. 17 della CEDU, nonché l’art. 54 della Carta di Nizza, prevedono espressamente il divieto dell’abuso del diritto, che è principio che trova applicazione nel diritto interno in virtù del parametro di legittimità costituzionale previsto dall’art. 117, comma 1, Cost.
Più specificatamente la giurisprudenza ha avuto modo di puntualizzare che si verifica abuso di diritto “quando il titolare di un diritto soggettivo, pur in assenza di divieti formali, lo eserciti con modalità non necessarie ed irrispettose del dovere di correttezza e buona fede, causando uno sproporzionato ed ingiustificato sacrificio della controparte contrattuale, ed al fine di conseguire risultati diversi ed ulteriori rispetto a quelli per i quali quei poteri o facoltà furono attribuiti.” 5
In tal caso il giudice interviene, anche di ufficio, dichiarando l’inefficacia degli atti e condannando al risarcimento del danno. Si prescinde dall’esistenza di una specifica volontà di nuocere, e ciò non viene ritenuto sia una limitazione delle scelte economiche del soggetto agente, poiché viene sanzionata non tanto la condotta privata, ma l’abuso che si è fatto del diritto
Autorevole dottrina6 ha riassunto tutta l’opera di costruzione dell’istituto come intesa a definire il diritto come “l’ars boni ed equi”, già individuata dal giurista Celso.
7. Le principali figure di abuso di diritto presenti nel codice civile
Il diritto privato annovera diverse ipotesi codificate di abuso di diritto, sia nell’ambito dei diritti assoluti e reali, che riguardo ai diritti relativi a contenuto obbligatorio.
Nell’ambito del diritto reale rilevano innanzitutto gli artt. 832 e 833 c.c., dettati per regolamentare la proprietà, ma che si si ritiene e costituiscano un limite di esercizio, che attenuano il principio di assolutezza tipico dei diritti reali.
L’art. 833 c.c., in particolare, vieta gli atti emulativi, intesi in tutte quelle condotte con le quali il proprietario pone in essere atti che abbiano l’esclusivo scopo di nuocere o recare molestia ad altri. Rientra nella casistica il noto esempio della costruzione di un muro di cinta alto oltre 3 metri per impedire al vicino di atterrare con un aereo sul confinante terreno adibito ad aeroporto privato.
L’atto emulativo, così come già elaborato dal diritto romano si caratterizza soprattutto per l’emergere il cosiddetto “animus nocendi”, ed è quindi fondato sull’elemento soggettivo.
Viceversa, una piena repressione dell’abuso di diritto che prescinde dalla sola volontà di nuocere è ravvisabile nella disciplina codicistica delle immissioni moleste di cui all’art. 844 c.c.
Qui il criterio di guida è quello della tollerabilità, che deve essere valutato dal giudice nel grado della “normalità”. Tale norma esprime compiutamente il moderno significato dell’abuso del diritto perché costituisce un limite al godimento del diritto di proprietà, il cui esercizio, costituzionalmente tutelato ex art. 42 Cost., deve essere bilanciato con il principio di solidarietà sociale.
Nell’ambito dei diritti relativi a contenuto obbligatoria vige il principio genarle della buona che impone obblighi a entrambi le parti e trova il suo fondamento nell’art. 1175 c.c., che prescrive una condotta improntata alla correttezza.
Sul punto, gli artt. 2 Cost. e 1175 c.c. costituiscono un binomio che comportano un limite al diritto di ciascuna parte, derivante dai principi di buona fede e solidarietà.
Un’applicazione concreta viene ravvisata nell’ipotesi di recesso ad nutum da un contratto, che pur se previsto da un regolamento contrattuale, può comunque essere sindacato dalla parte che lo subisce, allorquando non soddisfi un interesse meritevole di tutela, e addirittura risulti dannoso.
Altra ipotesi tipica è la disciplina della riduzione della penale da parte del giudice ex art. 1384 c.c., che si fonda sul generale principio dell’equità, limitando l’abuso del diritto quando si verifichi una esagerata sproporzione.
Importanza hanno pure le norme che impongono la buona fede nelle trattative precontrattuali e nella fase di esecuzione del contratto (artt. 1337 e segg. c.c.).
8. L’elaborazione della giurisprudenza
Interessante appare l’analisi dell’evoluzione giurisprudenziale in materia, con riguardo a fattispecie specifiche.
Nelle varie decisioni che si sono succedute nel tempo traspare un chiaro principio guida che è quello “fondato sull’osservazione che l’esegesi tradizionale non appariva più adeguata alla luce di una rilettura degli istituti codicistici in senso conformativo ai precetti superiori della Costituzione, individuati nel dovere di solidarietà nei rapporti intersoggettivi (art. 2 Cost.), nell’esistenza di un principio di inesigibilità come limite alle pretese creditorie (C. cost. n. 19/94), da valutare insieme ai canoni generali di buona fede oggettiva e di correttezza (artt. 1175,1337, 1359, 1366, 1375 cod. civ.)”. 7
In tema di autonomia contrattuale, in merito all’interpretazione dell’art. 1322 c.c. che attribuisce alle parti il potere di determinare il contenuto del contratto e di creare anche nuove figure non previste dall’ordinamento, ma meritevoli di tutela, la giurisprudenza individua un limite, il cui superamento costituisce un abuso di diritto perché: “non può riconoscersi il diritto fatto valere, se esso si fonda su un contratto il cui contenuto non sia conforme alla legge ovvero sia diretto a realizzare interessi che non appaiono meritevoli secondo l’ordinamento giuridico”8.
Importante è anche la definizione data dalla giurisprudenza al concetto di buona fede delineata nel seguente modo: “reciproca lealtà di condotta, che deve presiedere all’esecuzione del contratto, così come alla sua formazione ed alla sua interpretazione e, in definitiva, accompagnarlo in ogni sua fase…e quindi un autonomo dovere giuridico, espressione di un generale principio di solidarietà sociale, la cui costituzionalizzazione è ormai pacifica… Una volta trasfigurato il principio della buona fede sul piano costituzionale diviene una specificazione degli “inderogabili doveri di solidarietà sociale” imposti dall’art. 2 Cost., e la sua rilevanza si esplica nell’imporre, a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio, il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra, a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge.”9
In materia societaria, in generale, la giurisprudenza avverte sul dovere che i soci debbono osservare nell’esecuzione del contratto secondo buona fede e correttezza ai sensi degli artt. 1175 e 1375 c.c.10
In ambito dei rapporti bancari è stato ritenuto illegittimo il recesso della banca avvenuto in maniera imprevista ed arbitraria.11
Analoghe decisioni si sono avute per il contratto di mediazione, di sale and lease back connesso al divieto di patto commissorio ex art. 2744 c.c. ed al contratto autonomo di garanzia.12
Il recente dibattito si è focalizzato sempre di più nel compito di individuare nuove figure e forme di repressione dell’abuso del diritto, in relazione all’evoluzione delle relazioni sociali ed economiche. Tra le prospettazioni più interessanti degli ultimi anni vanno segnalati gli arresti che qualificano abuso di diritto il frazionamento del credito (proposizione di più azioni esecutive per un credito avente carattere di unitarietà, con aggravamento della posizione del debitore), su cui si è sviluppato un’ampia discussione.13
Merita segnalazione, per ultimo, un particolare orientamento che ha configurato l’abuso di diritto nella condotta del locatore che dopo anni di inerzia nel richiedere i canoni scaduti agisca repentinamente per il recupero di tutta la morosità maturata.14
La rassegna delle varie figure di abuso di diritto sopra tratteggiata ha sicuramente carattere non esaustivo, essendo sul punto l’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale in continua evoluzione, per cui si rimanda alle trattazioni più analitiche.15
9. I rimedi esperibili in presenza di un abuso di diritto
In presenza di un abuso di diritto viene riconosciuta generalmente la possibilità di esperire in giudizio la cd. exceptio doli generalis, che è un rimedio processuale, non codificato, finalizzato a contrastare la domanda giudiziale preordinata al conseguimento di scopi non funzionali e deleteri per il convenuto. Lo strumento si fonda sul principio di solidarietà, che conferisce legittimazione all’exceptio doli generalis, in mancanza di norme giuridiche e conduce al rigetto della domanda.
Altro rimedio utilizzabile è l’eccezione di inesigibilità della prestazione che risulti abusiva in quanto contraria alla buona fede in executivis prevista dall’art. 1375 c.c.
Inoltre, va tenuto in conto che l’esercizio abusivo del diritto può causare anche un danno patrimoniale e non patrimoniale con possibilità di esercizio della conseguente azione risarcitoria.
In particolare, nel caso di responsabilità aquiliana trova applicazione l’art. 2043 c.c., mentre nel caso di abuso del diritto nell’ambito dei rapporti obbligatori, trova applicazione la disciplina dettata dagli artt. 1218 e segg. c.c., qualificando la condotta illecita fonte di responsabilità da inadempimento.
Ancora riguardo al tema del risarcimento del danno deve segnalarsi la codifica di istituti di valenza processuale, che disciplinano il cosiddetto abuso del processo, che verrà trattato ampiamente nella terza parte del presente lavoro.
Infine, il divieto di abuso del diritto nell’ambito dei diritti reali e anche dei diritti personalità ha mostrato interesse della dottrina e della giurisprudenza in relazione alla proponibilità di forme particolari di tutela inibitoria.
10. Evoluzione in ambito tributario e processuale: rinvio
Questa prima parte ha affrontato il tema dell’abuso del diritto in una prospettiva sistematica generale, ponendo in risalto che la materia è soggetta a continua evoluzione e specializzazione. Pertanto si è ritenuto di analizzare separatamente e specificatamente le problematiche nel diritto tributario e nel diritto processuale nella seconda e terza parte.
1 La giustizia consiste nella costante e perpetua volontà di attribuire a ciascuno il suo diritto. Le regole del diritto sono queste: vivere onestamente, non recare danno ad altri, attribuire a ciascuno il suo.
2 Per un inquadramento storico dell’istituto si vedano: GROSSO Giuseppe, Abuso del diritto (dir. Romano), in Enciclopedia de Diritto I, Giuffrè, Milano, 1958; GUALAZZINI Ugo, Abuso del diritto (dir. intermedio), ivi, I, 1958; ROMANANO Salvatore, Abuso del diritto (dir. att.), ivi, I, 1958; MESSINETTI Davide, Abuso del Diritto (dir. att.), ivi, II agg., 1958.
3 Si veda la nota 2.
4 Va segnalata nella civilistica l’opera fondamentale di PERLINGIERI Pietro, Il diritto civile nella legalità costituzionale, ESI, Napoli, 1991
5 Cass., III Sez. Civ., n. 18/2009.
6 SCIALOJA Vittorio – BRANCA Giuseppe – GALGANO Francesco, Commentario al codice civile e codici collegati, Zanichelli, Roma, 2013.
7 Principi enunziati in merito alla questione del potere di riduzione della penale da parte del giudice d’ufficio: Cass. Civ. SS. UU. n. 18128/2005; Cass. Civ. n. 10511/99; Cass. Civ, n. 8188/03.
8 Cass. Civ. n. 8188/03;
9 Cass., III Sez. Civ., n. 20106/2009; Cass. Civ. n. 5348/2009; Cass. Civ. n. 15476/2008; Cass. Civ. n. 8481/2009; Cass. Civ. n. 6800/2009; Cass. Civ. n. 29776/2008; Cass. Civ. n. 14759/2008; Cass. Civ.n. 10838/2007.
10 Cass. Civ. n. 9353/2003; Cass. Civ. n. 27387/2005.
11 Cass. Civ. n. 4538/1997; Cass. Civ. n.9321/2000; Cass. Civ. n. 2642/2003.
12 Cass. Civ. n. 5348/2009; Cass. Civ. n. 10805/1995; Cass. Civ. n. 8742/2001; Cass. Civ. n. 6969/2007; Cass. Civ. n. 8481/2009; Cass. Civ. n. 10864/1999; Cass. Civ. n. 14239/2004; Cass. Civ. n. 5273/2007; Cass. Civ., SS.UU., n. 1611 e n. 1907/1980.
13 Cass. Civ. n. 13606/2024.
14 Cass. Civ. n. 11219/2024.
15 PINO Giorgio, L’abuso del diritto tra teoria e dogmatica (precauzioni per l’uso), in Eguaglianza, ragionevolezza e logica giuridica (a cura di Giorgio Maniaci), Giuffré, Milano, 2006, pp. 115 ss.; MARTINES Maria Paola, Teoria e prassi sull’abuso del diritto, Cedam, Padova 2006; RESTIVO Carmelo, Contributo ad una teoria dell’abuso del diritto, Giuffré, Milano, 2007; AA.VV. (a cura di Vito Velluzzi), L’abuso del diritto. Teoria, storia e ambiti disciplinari, ETS, Pisa, 2012; AA.VV. (a cura di Giovanna Visintini), L’abuso del diritto, ESI, Napoli, 2016.
Luigi Di Prisco