Favor rei nella successione della legge penale: cenni ermeneutici sulla diacronia tra condotta ed evento

Invocare la carenza di prove concrete come argomento oratorio, quanto meno di dubbio, a fini assolutori (in dubio pro reo), può farsi risalire alle arringhe di Cicerone, nella tarda repubblica romana (Coppola Bisazza, 2019).

La regola della presunzione d’innocenza – allo stato della ricerca – è rinvenibile, per la prima volta, in un rescritto dell’imperatore Traiano, tramandato dal giurista Ulpiano e riportato nei Digesta (D.48.19.5), secondo cui è certamente da preferirsi che il colpevole di un delitto rimanga impunito, piuttosto che una persona innocente venga ingiustamente condannata.

Trarrebbe la sua origine dal pensiero stoico vigente tra il I e il III secolo d.C. Seneca difatti afferma “semper quidquid dubium est humanitas inclinat in melius”.

È pertanto in sede di cognitio extra ordinem che viene formalizzata e applicata siffatta regola processuale, secondo cui, in presenza di semplici suspiciones, si debba decidere in senso favorevole all’imputato (Coppola Bisazza, 2019).

Nell’ordinamento giuridico italiano, il favor rei è posto, nel diritto penale sostanziale, a fondamento di istituti che escludono l’esistenza dell’illecito o che producono effetti più lievi rispetto a quelli che si verificherebbero altrimenti.

Esemplificativi sono gli istituti del reato continuato (art. 81, comma 2, codice penale) e dell’efficacia retroattività di una nuova legge penale più favorevole rispetto a quella previgente, ma entrata in vigore dopo la commissione del fatto di reato per cui si procede (art. 2, commi 2 e 4, codice penale).

Nel diritto processuale penale, per altro verso, il favor rei integra un principio generale, fortemente connotato dalla scelta di privilegiare l’imputato o il condannato, rendendo possibile, in talune situazioni, una considerazione di maggiore rilievo all’interesse dell’imputato rispetto ad altri interessi affioranti dallo svolgimento processuale.

Tale canone caratterizza le norme inerenti alla pronuncia di una sentenza di assoluzione anche quando manchi, sia insufficiente o contraddittoria la prova che il fatto sussista, che l’imputato l’abbia commesso, che il fatto costituisca reato, che il reato sia stato commesso da persona imputabile (art. 530 codice procedura penale); ovvero quelle che prescrivono determinate cause di non punibilità (art. 129 codice procedura penale), o quelle per cui, nella deliberazione della sentenza, in caso di parità di voti, debba prevalere l’opinione più favorevole all’imputato (art. 527 codice penale).

Ai fini dell’applicabilità del principio in parola, nel suo molteplice utilizzo, si rileva che, dal punto di vista soggettivo, esso si riferisce al reo inteso come imputato e come condannato, mentre, per ciò che concerne l’aspetto oggettivo, deve identificarsi, nella prevalente considerazione, precipuamente all’interesse dell’imputato.

In tal senso, parte della dottrina (Cadoppi, 1997; Pagliaro 1973 e 2003) considera tale principio equivalente, o comuque derivato da quello più ampio del favor libertatis (artt. 13 e 25 Costituzione) o del favor innocentiae.

Altro aspetto di consistente rilievo è la funzione del favor rei nel nostro ordinamento, dove viene considerato come un principio e un concetto generale che attraversa l’intero ordinamento e che, pertanto, è stato regolato appositamente dal legislatore mediante l’adozione di specifici istituti giuridici, al fine di garantire efficacemente la tutela della libertà personale degli individui.

Nel sistema penale, ambito in cui il principio trova la sua più pervasiva espressione, ha come obiettivo principale quello di assicurare un’adeguata protezione dell’imputato, attraverso i generali fondamenti costituzionali, come quello della certezza del diritto nei confronti del potere statuale (Bricola, 1981; Caraccioli, 2005).

Nel contempo, costituisce parte integrante di quell’apparato di garanzie giuridicamente riconosciute e codificate, come il principio di irretroattività della legge penale, che caratterizza concretamente l’esigenza di tutela sottesa al favor rei.

Tale principio, oltre a essere previsto dall’art. 25, comma 2, Costituzione, viene anche disciplinato dall’art. 2 codice penale.

È ben nota la portata di tale disposizione secondo cui nessuno può essere punito per un fatto che, in base ad una legge posteriore, non costituisce più reato; inoltre, se vi è stata la condanna, ne cessano gli effetti penali.

Ci si trova al cospetto della cosiddetta abolitio criminis per cui, ove una norma sopravvenuta renda lecito un fatto prima costituente reato, quest’ultima si applica con efficacia retroattiva, travolgendo anche l’eventuale giudicato.

Viceversa, l’art. 2, comma 4, codice penale si occupa del fenomeno dell’abrogatio sine abolitio, stabilendo che la norma successiva più favorevole si applica retroattivamente salvo sia intervenuto il giudicato.

La differenza con l’abolitio criminis appare chiara.

Mentre, nel comma 2, la sopravvenienza normativa rende lecito un fatto illecito, nel comma 4 la condotta risulta sempre illecita ma se la novità legislativa ammette un trattamento di favore, questa deve essere applicata retroattivamente, salvo sia frattanto intervenuta una sentenza irrevocabile.

Tale distinzione poggia la sua ratio nella diversa valutazione di opportunità criminale svolta dal legislatore e nel principio di uguaglianza.

Invero, mentre nel caso di abolizione del reato non è giusto che il reo continui a subire le conseguenze penali della sua condotta, nel caso di successione di leggi favorevole, la condotta rimane penalmente rilevante anche se con un trattamento di maggior favore.

Pertanto, l’abolizione di una fattispecie di reato non può giustificare un diverso trattamento sanzionatorio in base al momento in cui è pervenuta la condanna per il reo poiché ciò sarebbe in spregio al principio di uguaglianza ai sensi dell’art. 3 Costituzione ed al principio di colpevolezza e della funzione rieducativa previsto dal successivo art. 27 della nostra carta fondamentale.

In sintesi, si può così riassumere la questione dell’efficacia nel tempo della legge penale: il principio di irretroattività vieta che qualcuno possa essere punito per un fatto che al momento in cui fu commesso non era previsto come reato.

L’art. 2, comma 2, codice penale prevede il principio di retroattività favorevole piena in caso di abolizione del reato per questioni di giustizia sostanziale, uguaglianza e colpevolezza.

Infine, il successivo comma 4 sancisce il principio della cosiddetta retroattività in mitius relativa nell’ipotesi di successione di norma più favorevole, applicabile salvo nel caso di condanna irrevocabile, in omaggio alla regola dell’immanenza dell’illiceità della condotta.

Infine, per quanto riguarda le leggi processuali penali vale la regola del tempus regit actum salvo che la disciplina processuale non sia intimamente connessa con la modalità di esecuzione della pena; in tale ultimo caso valgono le regole sancite dall’art. 2 codice penale.

Premesse tali regole, si pone la questione della successione di leggi nei casi di reato ad evento differito, reato abituale, permanente e di concorso di persone nel reato.

Sul punto, è utile citare la nota pronuncia n. 40986 del 2018, resa a Sezioni Unite dalla Suprema Corte.

In particolare, il quesito prospettato è quale sia, nel caso di successione di leggi penali, la norma applicabile, nell’ipotesi, tutt’altro che rara, di diacronia temporale tra condotta ed evento: quella più favorevole vigente al momento della condotta, o quella meno favorevole vigente al momento dell’evento?

Nella specie, si trattava di un caso di omicidio stradale che vedeva coinvolto un pedone, investito prima dell’entrata in vigore dell’art. 589 bis codice penale, ma che successivamente decedeva nella vigenza delle nuove regole.

Ai sensi dell’orientamento più recente, per il trattamento sanzionatorio deve aversi riguardo al quadro normativo vigente al momento dell’evento lesivo (Corte di Cassazione, IV Sezione penale, sentenza 17.04.2015 n. 22379).

Secondo la linea interpretativa più risalente, al fine di stabilire la norma applicabile, va individuato il momento di commissione del reato, e quindi la condotta criminosa, così come espressamente stabilisce la legge (Corte di Cassazione, IV Sezione penale, sentenza 05.10.1972 n. 8448).

Le Sezioni Unite, aderendo a quest’ultima interpretazione, e richiamando altresì il canone del “nessuna pena senza legge” declamato dall’art. 7 CEDU, sottolineano, nell’esaminata decisione, come il principio della irretroattività della norma penale sfavorevole costituisca uno strumento essenziale di garanzia del cittadino contro gli arbitri del legislatore.

È individuabile, unicamente nella condotta, il punto di riferimento temporale e ontologico che consente al cittadino di poter, in qualche misura, calcolare le conseguenze penali della propria azione, “quale condizione necessaria per la libera autodeterminazione individuale” (Corte Costituzionale, sentenza n. 394 del 2006).

Se così non fosse, a giudizio della Suprema Corte, il reo verrebbe ad essere punito più gravemente, semplicemente per via della mera casualità che, nelle more tra la condotta e l’evento, sia sopraggiunta la nuova legge, con ciò producendosi quell’incertezza sulla quota di illiceità del comportamento umano che è esclusa e demonizzata, in modo assoluto, dal principio dell’irretroattività.

In aderenza a ciò, è stato enunciato il seguente principio di diritto: “In tema di successione di leggi penali, a fronte di una condotta interamente posta in essere sotto il vigore di una legge penale più favorevole e di un evento intervenuto nella vigenza di una legge penale più sfavorevole, deve trovare applicazione la legge vigente al momento della condotta” (Corte di Cassazione, Sezioni Unite, sentenza 24.09.2018, n. 40986).

La funzione rieducativa della pena, centrale baluardo del sistema penale, non si appalesa, del resto, sacrificabile sull’altare di ogni altra, pur legittima funzione della pena (Corte Costituzionale, sentenza n. 149 del 2018).

Il requisito della rimproverabilità del fatto fonda sulla possibilità di conoscere la norma penale: ognuno dei consociati deve trovarsi nella condizione di adeguarsi, liberamente o meno, alla legge penale, conoscendo in anticipo quali conseguenze afflittive potranno derivare dalla sua propria decisione.

E ciò, per ovvie ragioni, può verificarsi solo in sede di realizzazione della condotta.


Bibliografia essenziale

BRICOLA Franco, Art. 25, 2º e 3º comma. Cost., in A.A.V.V, Commentario della Costituzione a cura di BRANCA Giuseppe, Zanichelli, Bologna, 1981.

CADOPPI Alberto, Il principio di irretroattività, in AA.VV., Introduzione al sistema penale, a cura di INSOLERA Gaetano, MAZZACUVA Nicola, PAVARINI Massimo, ZANOTTI Marco, Vol. I, Giappichelli, Torino, 2006.

CARACCIOLI Ivo, Manuale di diritto penale, Parte generale, Cedam, Padova, 2005.

COPPOLA BISAZZA Giovanna, Traiano, l’affermarsi del principio del favor rei e il suo consolidarsi anche in campo privatistico, in Teoria e Storia del Diritto Privato (ISSN 2036-2528), XII, 2019.

PAGLIARO Antonio, Legge penale nel tempo, in Enciclopedia del Diritto, XXVIII, Giuffré, Milano, 1973.

PAGLIARO Antonio, Principi di diritto penale, Parte generale, Giuffré, Milano, 2003.

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