Il Big Mac è il panino[1] più famoso e anche uno dei più venduti nella catena di fast food McDonald’s.
Il 5 giugno del 2024, il Tribunale dell’Unione Europea ha deciso la causa T-58/23 tra McDonald’s e la società irlandese Supermac’s Holding Ltd.[2], avente per oggetto l’uso del marchio dell’Unione Europea “Big Mac”, stabilendo che McDonald’s non avrebbe dimostrato un uso effettivo di tale segno distintivo in riferimento ad alcuni prodotti e servizi, tra cui i panini con pollo e alimenti a base di pollame[3].
Si ricorda che è possibile dichiarare la decadenza dall’utilizzo di un marchio, quando – decorsi cinque anni dalla sua registrazione, o successivamente – chi ne è titolare ne abbia sospeso l’uso per un periodo ininterrotto di cinque anni.
Questo, però, non vuole dire che si decada automaticamente dalla sua registrazione.
Perché questo accada, è necessario un’azione giudiziaria di cancellazione promossa da un terzo interessato o contro interessato.
Il titolare di un marchio quindi per conservare il diritto esclusivo sul medesimo deve utilizzarlo e, in caso di contestazioni, deve provare tale uso.
Dovrà provarne un reale sfruttamento in riferimento ai prodotti e/o servizi della categoria di appartenenza in fase di registrazione, nel territorio di riferimento[4].
Questa la vicenda.
Nel 1996 la McDonald’s International Property Company Ltd. depositava il marchio dell’Unione Europea “Big Mac” per prodotti e servizi nelle classi[5] 29[6], 30[7] e 42[8], dinnanzi all’EUIPO, l’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale, ossia l’Autorità Europea, con sede ad Alicante, in Spagna, che rilascia i marchi europei[9] (ex Marchi Comunitari).
Nel 2014, la società irlandese Supermac‘s, a sua volta, depositava il marchio europeo “Supermac” in riferimento ai panini prodotti[10].
McDonald’s presentava dunque formale opposizione amministrativa, sostenendo come quest’ultimo marchio fosse simile al proprio o comunque fosse idoneo a creare associazione con il proprio Big Mac e pertanto confusione nei consumatori.
Si rammenti che il regolamento comunitario vieta la registrazione dei marchi che richiamino per associazione un marchio noto, ad esso anteriore.
L’articolo 20, lettera c), del CPI[11] detta che il titolare ha il diritto di vietare ai terzi di usare “un segno identico o simile al marchio registrato per prodotti o servizi anche non affini, se il marchio registrato goda nello Stato di rinomanza e se l’uso del segno senza giusto motivo, consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio o reca pregiudizio agli stessi”.
L’approccio del diritto comunitario in materia di marchi e, in genere, in tutta la disciplina della tutela della proprietà industriale, è indubbiamente orientato al mercato (cosiddetto “Market Oriented[12]”) o, se si vuole, alla realtà, cioè quanto più vicino possibile a ciò che quotidianamente accade ed è in grado in concreto di incidere sulle scelte di acquisto dei consumatori.
Orientamento questo che si ritrova nelle decisioni della Corte di Giustizia, quando essa si pronuncia sull’accertamento dei presupposti della protezione del marchio, specialmente in relazione al requisito della capacità distintiva: “Il carattere distintivo di un marchio, indipendentemente dalla categoria nella quale esso rientri, deve essere oggetto di una valutazione concreta”[13].
Il marchio è fondamentalmente considerato uno strumento di comunicazione[14], ossia il mezzo visivo attraverso cui il messaggio è veicolato.
Invero, esso è qualcosa di più e di diverso rispetto al prodotto o servizio che va a contraddistinguere, perché portatore di suggestioni, informazioni, e idoneo a ricevere tutela tanto più ampia, quanto maggiore è il suo valore nel mondo reale, che dipende quindi dal grado di percezione del pubblico[15].
“La percezione dei marchi operata dal consumatore medio dei prodotti o servizi di cui trattasi svolge un ruolo determinante nella valutazione globale del detto rischio (di confusione)”[16].
Sull’uso di un segno identico al marchio, per prodotti o servizi identici, di cui all’articolo 20, comma 1, lettera a), CPI, viene precisato che è vietato “solo se pregiudica o è idoneo a pregiudicare le funzioni del marchio e in particolare la sua funzione essenziale che è quella di garantire ai consumatori l’origine dei prodotti o dei servizi”[17].
La libera concorrenza è la regola, mentre, la sua limitazione rappresenta un’eccezione, ammessa solo nel caso in cui – secondo un giudizio probabilistico – queste attività interferiscano concretamente, con quanto l’ordinamento giuridico riserva ai titolari dei diritti di proprietà industriale.
Il marchio deve pertanto essere tutelato sia contro il rischio di confusione che contro condotte di approfittamento parassitario della sua rinomanza e della sua capacità distintiva e, in definitiva, contro tutto ciò che possa provocarne un pregiudizio o una perdita di valore, ledendone la reputazione.
Quanto detto è in linea con la Direttiva n. 89/104/CEE, in materia di marchi di impresa, e anche con il suo decimo considerando, nel quale, tra gli altri concetti, si fa cenno all’accertamento del pericolo di confusione che “dipende da numerosi fattori e segnatamente dalla notorietà del marchio di impresa sul mercato, dall’associazione che può essere fatta tra il marchio di impresa e il segno e tra i prodotti o i servizi designati”.
Tornando al caso di specie, McDonald’s riteneva che il marchio Supermac‘s potesse “agganciarsi” a Big Mac e in generale alla provenienza da McDonald’s dei panini di controparte.
Supermac, per difendersi, ha cercato di cancellare giuridicamente, per mancato uso, la “base dell’opposizione”, ovvero il marchio Big Mac del 1996.
Così Supermac‘s, in data 11 aprile 2017, formalizzava istanza di decadenza nella UE del marchio “Big Mac”, ritenendo che questo non fosse stato oggetto di un uso effettivo per un periodo di tempo continuativo di cinque anni (specificamente, nell’intervallo temporale 11 aprile 2012 – 10 aprile 2017).
McDonald’s produceva una mole cospicua di documenti per comprovare l’uso continuato del prefato marchio, in vari paesi dell’Unione[18]. Tuttavia si trattava prevalentemente di documenti di “natura interna”, quindi provenienti dall’azienda, quali affidavit, brochures e poster pubblicitari ed estratti dai propri siti web e dalla pagina Wikipedia.
Non erano prove tecnicamente “esterne”, congrue ed obiettive.
Di fatti, l’EUIPO le ha considerate insufficienti e inidonee a dimostrare l’utilizzo effettivo e continuativo del marchio “Big Mac”, in ordine precipuamente al lasso temporale, al volume di vendite, alle modalità, all’intensità e alla frequenza dell’uso del marchio.
Veniva pertanto accolta la domanda di cancellazione avanzata da Supermac, e il marchio in parola veniva dichiarato decaduto, per omesso uso per tutti i prodotti e servizi compresi nella registrazione.
La McDonald’s ricorreva in appello e il Board of Appeal[19] riformava parzialmente la sentenza, stabilendo che la decadenza del marchio “Big Mac” era da intendersi solo per alcuni prodotti, come i panini imbottiti[20], i panini imbottiti a base di carne[21] e i panini imbottiti a base di pollo[22].
Supermac ricorreva, a sua volta, alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) chiedendo l’annullamento della sentenza del Board of Appeal.
Le motivazioni del suo ricorso erano concentrate sui “panini imbottiti” e sui “panini imbottiti a base di pollo”, per i quali sosteneva che controparte non avesse dimostrato alcun uso effettivo, mentre invece potevano ritenersi sufficienti per i “sandwiches.”
La CGUE accoglieva il ricorso di Supermac‘s, dichiarando che non fossero state fornite prove sufficienti a dimostrare l’uso continuato nel periodo dei cinque anni sopra indicati, per quanto riguarda i prodotti “panini imbottiti a base di pollo”, i prodotti “alimenti a base di pollame” e i servizi “forniti o connessi alla gestione di ristoranti e di altri locali o infrastrutture di ristorazione per il consumo e il drive-in; preparazione di piatti da asporto”.
La decadenza è pertanto intervenuta solo per tali prodotti e non per tutti quelli registrati sotto questo marchio nel 1996.
Breviter, McDonald’s non ha perso tutti i propri diritti sul marchio “Big Mac”, ma solo quelli inerenti ai panini a base di pollo che ha continuato e continuerà a vendere ma con il nome “Chicken Big Mac”.
D’altro canto, potrà continuare a utilizzare il marchio “Big Mac” per i panini a base di carne che, senza dubbio, sono quelli per i quali è conosciuta nel mondo.
La decisione comunque è stata impugnata dalla multinazionale americana per motivi di diritto.
[1] È stato inventato dal franchiser italoamericano Jim Delligatti.
[2] Fondata nel 1978 a Galway, Supermac‘s vende hamburger di manzo e pollo e crocchette di pollo in 120 punti vendita a marchio “rosso e bianco” in tutta l’Irlanda (https://www.ilsole24ore.com/art/mcdonald-s-continueremo-servire-nostro-big-mac-AG8KE0Q).
[3] “Le prove prodotte dalla McDonald’s non forniscono alcuna indicazione sull’entità dell’uso del marchio per tali tipologie di prodotti e servizi in termini di volume delle vendite, durata del periodo in cui gli atti di uso sono stati compiuti e frequenza” si legge nella sentenza della causa T-58/23 | Supermac‘s / EUIPO – McDonald’s International Property (BIG MAC). “Pertanto, le prove prese in considerazione dall’Euipo non consentono di dimostrare l’esistenza di un uso effettivo del marchio contestato”.
[4] Le prove possono consistere nella presentazione di documenti e campioni di imballaggi, etichette, listini dei prezzi, cataloghi, fatture, documenti di spedizione o esportazione, fotografie, inserzioni su giornali, dichiarazioni scritte. Anche l’uso su internet può essere valido, sempre però che consentano l’individuazione del periodo di utilizzo, del territorio e dell’estensione d’uso.
[5] Le classi merceologiche di registrazione del marchio sono un tipo particolare di categorizzazione, definito a livello internazionale con la Classificazione di Nizza, e descrivono le categorie cui possiamo fare riferimento quando si decide di tutelare il proprio marchio, e nulla hanno a che fare con la classificazione Ateco.
[6] La classe 29 comprende essenzialmente le derrate alimentari di origine animale, nonché le verdure e altri prodotti orticoli commestibili preparati per la consumazione o la conservazione (cfr. https://euipo.europa.eu/pdf/mark/ITEuronice_notes.pdf).
[7] La classe 30 comprende essenzialmente le derrate alimentari di origine vegetale preparate per il consumo o la conservazione, nonché gli additivi destinati a migliorare il sapore degli alimenti (cfr. https://euipo.europa.eu/pdf/mark/ITEuronice_notes.pdf).
[8] La classe 42 comprende essenzialmente i servizi resi da persone, individualmente o collettivamente, in relazione con gli aspetti teorici o pratici di settori complessi di attività; tali servizi sono resi da professionisti come chimici, fisici, ingegneri, programmatori informatici, ecc. (cfr. https://euipo.europa.eu/pdf/mark/ITEuronice_notes.pdf).
[9] Il marchio UE (MUE) ha validità su tutti i Paesi dell’Unione Europea e si estende automaticamente ai nuovi ingressi. Esso ha validità su tutto il territorio UE unitariamente inteso, non è possibile limitare la portata geografica della tutela solo ad alcuni Stati membri. I requisiti sono quelli di cui all’art. 7 del Regolamento UE 2015/2424 e la Classificazione di Nizza.
La richiesta si fa mediante deposito sul sito internet dell’ufficio europeo EUIPO (https://euipo.europa.eu/ohimportal/it/). Il marchio UE ha validità di 10 anni e può essere rinnovato, indefinitamente, pre periodi sempre di 10 anni per volta ( cfr. https://uibm.mise.gov.it/index.php/it/marchi/registrare-all-estero/marchio-europeo-con-validita-su-tutta-l-ue)
[10] Per prodotti in classe 30.
[11] Meglio noto come Codice della Proprietà Industriale. L’articolo 20 è rubricato “Diritti conferiti dalla registrazione” e detta:
“1. I diritti del titolare del marchio d’impresa registrato consistono nella facoltà di fare uso esclusivo del marchio. Il titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nell’attività economica:
a) un segno identico al marchio per prodotti o servizi identici a quelli per cui esso è stato registrato;
b) un segno identico o simile al marchio registrato, per prodotti o servizi identici o affini, se a causa dell’identità o somiglianza fra i segni e dell’identità o affinità fra i prodotti o servizi, possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico, che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni;
c) un segno identico o simile al marchio registrato per prodotti o servizi anche non affini, se il marchio registrato goda nello stato di rinomanza e se l’uso del segno senza giusto motivo consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio o reca pregiudizio agli stessi.
2. Nei casi menzionati al comma 1 il titolare del marchio può in particolare vietare ai terzi di apporre il segno sui prodotti o sulle loro confezioni; di offrire i prodotti, di immetterli in commercio o di detenerli a tali fini, oppure di offrire o fornire i servizi contraddistinti dal segno; di importare o esportare prodotti contraddistinti dal segno stesso; di utilizzare il segno nella corrispondenza commerciale e nella pubblicità.
3. Il commerciante può apporre il proprio marchio alle merci che mette in vendita, ma non può sopprimere il marchio del produttore o del commerciante da cui abbia ricevuto i prodotti o le merci”.
[12] Si tratta di un orientamento al marketing in cui il management è impegnato a diffondere una cultura aziendale che ponga le preferenze dei clienti al di sopra di tutti.
[13] Corte Giust., 16 settembre 2004, C-404/02 Nichols, punto 27-29.
[14] GALLI Cesare, Funzione del marchio e ampiezza della tutela, Giuffré, Milano, 1996.
[15] GALLI Cesare, I marchi nella prospettiva del diritto comunitario: dal diritto dei segni distintivi al diritto della comunicazione di impresa, in AIDA – Annali Italiani del Diritto d’Autore, della Cultura e dello Spettacolo (ISSN 1720-4259) 2007, pagg. 229 e ss.
[16] così Corte Giust., 6 ottobre 2005, c-120/04, Thomson Life.
[17] Corte Giust., 11 settembre 2007, C-17/06, Celine, punto 26.
[18] Soprattutto in Germania, Francia, Regno Unito, allora membro dell’Unione Europea.
[19] Rappresenta l’ultima istanza giudiziaria nelle procedure dinanzi all’Ufficio Europeo Brevetti (EPO). Ha il compito di esaminare le decisioni contestate dei dipartimenti di prima istanza dell’Ufficio nel quadro della Convenzione sul brevetto europeo (EPC).
[20] edible sandwiches.
[21] meat sandwiches.
[22] chicken sandwiches.
Avv. Paola Calvano